Gettonopoli bis, il gip archivia ma smonta il criterio dei tre minuti adottato dalla Procura

E’ destinato ad avere effetti anche sul primo filone dell’inchiesta Gettonopoli il provvedimento di archiviazione emesso dal Gip Salvatore Mastroeni nei confronti di 21 consiglieri comunali (vedi qui). Le valutazioni giuridiche del giudice, oltre a scagionare definitivamente i 21 rappresentanti del Civico Consesso sulla cui posizione era chiamato ad esprimersi, potrebbero risultare utili alla difesa dei 16 consiglieri comunali già sotto processo per le presenze lampo o “fantasma” in commissione .

Nelle 27 pagine dell’atto, Mastroneni infatti smonta uno dei capisaldi dell’indagine svolta dalla Procura, vale a dire quella soglia dei tre minuti in base alla quale chi si fermava in commissione 2 minuti e 59 secondi si rendeva responsabile di un comportamento illecito e chi restava più di 3 minuti e 1 secondo svolgeva la sua attività di consigliere in maniera regolare e legittima.

«Tre minuti non possono essere il tempo di un dibattito ma neanche di una proposta, forse di un saluto, forse di qualche non decorosa battuta, come emerge in atti», scrive Mastroeni, che poi aggiunge: «Diversificare chi sta tre minuti da chi firma e va via…diventa un po’ un esercizio di forma, ma privo di reali contenuti sostanziali».

Sebbene il Gip ad un certo punto spieghi «che il criterio nasce da una falla dei regolamenti che non prevedono un tempo minimo di partecipazione alle commissioni per dire che vi si sia partecipato effettivamente», non ha remore ad ammettere che il criterio dei tre minuti «repelle sia a chi lavora e forse ancor di più a chi lavoro non abbia».

Leggendo il provvedimento è comunque evidente che Mastroeni non intende “assolvere” nessuno, soprattutto sotto il profilo morale, denunciando anzi «un brodo di illegalità e di conoscenza dell’illegalità non certo generale ma ampio, con tutti che sapevano, vedevano ma non impedivano».

E proprio a tal proposito arriva una ulteriore bacchettata all’indagine della Procura e in particolare all’eccessiva indulgenza nei confronti di chi avrebbe potuto e dovuto evitare certi comportamenti: «Il fatto che tutti, e i responsabili dei pagamenti innanzitutto, “sapessero” esclude sicuramente la induzione in errore del falso».

«La gravità estrema della situazione, al di là del desolante quadro offerto da molti consiglieri – si legge testualmente – nasce proprio dalla evidenza di un sistema di controlli insussistente». Per Mastroeni quindi, «l’assoluzione ex ante dei segretari e di chi è preposto al pagamento non si comprende né condivide».

Nelle 27 pagine del suo provvedimento, Mastroneni esce anche dai confini del diritto e condanna moralmente il comportamento dei consiglieri nelle commissioni di Palazzo Zanca, che – in virtù del loro carattere permanente (10 in tutto le commissioni consiliari) – si riuniscono quotidianamente, anche quando non c’è una delibera da votare o un argomento da affrontare, e in cui sovente – come hanno dimostrato alcune intercettazioni ambientali – si finisce a parlare del nulla: «a parere di questo giudice, quelle sedute, pure se avessero il numero legale e pure quando lo hanno, e pure quando si sta tre minuti, sono tumquam non esset, di più, uno spaccato di vuoto politico e di idee e talvolta morale».

E c’è un episodio concreto che il giudice per le indagini preliminari riporta e da cui traspare un certo sdegno: «Come valutare la motivazione dell’elevato dibattito per l’assegnazione della cittadinanza al magistrato Nino Di Matteo, dove il massimo dello sforzo appare aggiunto da chi pronuncia una frase macabra “diamogli la cittadinanza prima che lo uccidono”».

Nel provvedimento, il gip fa inoltre esplicito riferimento alla corsa alla 39esime presenza iniziata in coincidenza del dimezzamento del gettone di presenza da 109 euro a 56 euro, a cui Tempostretto.it ha dedicato a suo tempo numerosi articoli (vedi correlati in basso): «vi era una gara, con illeciti, a raggiungere le fatidiche 39 commissioni mensili», scrive Mastroeni.

Sotto la lente di ingrandimento della Procura sono finite le deleghe “generosamente” concesse dai capigruppo e le firme in prima convocazione di sedute poi andate deserte ma che fruttavano comunque il gettone di presenza. Nell’inchiesta non è stato dato invece molto peso alla corsa alla 39esima presenza, anzi i consiglieri più presenzialisti (quelli che addirittura superavano le 39 presenze) hanno potuto beneficiare del criterio di compensazione utilizzato dai pm per sanare le posizioni di chi pur essendo stato in commissione al di sotto dei tre minuti poteva appunto compensare con sedute in cui era stato per più tempo perché di fatto non provocava un danno all’ente avendo già raggiunto l’indennità massima prevista dalla legge. Su questo punto il gip si esprime così: «si può concordare in astratto… che a chi pur “bari” sulle presenze a Commissioni, da cui però non potrà ottenere utili, avendo già maturato il massimo dell’indennità consentita, non si possa contestare il reato di truffa perché manca il danno»,

Analizzando complessivamente il quadro messo in luce dall’inchiesta della Procura Mastroeni non ha dubbi che «si è in presenza di uno spaccato del Consiglio Comunale di Messina, nelle Commissioni, per un periodo limitato inferiore a tre mesi, denso di gravi episodi e reati, taluni non appaiono ravvisati e contestati neppure nel processo base»

In allegato il dispositivo di sentenza

Danila La Torre