Sessanta tra i più celebri atleti italiani – sostenuti dal CONI e dalle decine di enti romani interessati al denaro da destinare alla manifestazione – hanno indirizzato a Monti la richiesta di candidare ufficialmente Roma per le Olimpiadi del 2020.
Nulla di nuovo sotto il sole. Ricordate cosa accadde a Roma con i campionati mondiali di nuoto del 2009?
Sotto la regia della Protezione Civile – come se una manifestazione sportiva programmata con largo anticipo richiedesse procedure d’emergenza -, furono spesi milioni e milioni per ristrutturare e impianti in circoli sportivi privati (chi non ricorda il mitico Salaria Sport Village, sede dei peccaminosi massaggi di Bertolaso, o i vari Circoli Canottieri frequentati dai VIP romani?), spesso in deroga alle norme urbanistiche.
L’inchiesta della Magistratura è in corso.
Anche perché, in ogni parte del mondo, i grandi eventi sportivi si concludono 9 volte su 10 con imponenti perdite di denaro pubblico. Qualcuno arriva a far risalire il tracollo della Grecia alle folli spese per le Olimpiadi del 2004.
Ci guadagnano solo le città in cui si svolgono.
Persino le Olimpiadi invernali di Torino 2006 – raro esempio di oculata amministrazione delle risorse – si chiusero con una perdita di alcune decine di milioni di euro. Sulla città del sindaco Chiamparino piovvero però 2 miliardi che consentirono non solo di ampliare gli impianti pubblici e creare nuove infrastrutture sportive, ma anche di realizzare il primo tratto della linea metropolitana, la nuova Biblioteca civica, la Galleria d’Arte Moderna, di interrare le linee ferroviarie cittadine, ristrutturare alcune grandi aree industriali dismesse e ampliare 11 strade statali e provinciali.
Comunque, al di là dei due casi specifici – entrambi esemplari anche se in senso diametralmente opposto -, la petizione degli atleti al Presidente Monti rientra nell’infinita schiera delle azioni (legittime) volte a promuovere interessi particolari: a noi i benefici e che il resto degli Italiani vada a strafottersi.
Di volta in volta, poi, ai benefici (leggasi soldi) pretesi dalle diverse categorie in nome di principi inalienabili – lo sport (come in questo caso), la cultura, la libertà di informazione, lo sviluppo economico, il risanamento di territori a rischio, etc. -, si sommano meno nobili (ma più concreti) interessi dei tantissimi enti che reclamano il diritto di gestire quelle risorse.
Alla Politica decidere a chi dire Sì e a chi No.
Lo stesso discorso vale per i sindaci di Roma che perorarono la causa dei Mondiali di nuoto ieri e quella delle Olimpiadi 2020 oggi. Quando si tratta di realizzare grandi progetti – eventi o opere pubbliche che siano – e quindi gestire robuste quantità di denaro, si compattano anche gli amministratori locali e i parlamentari eletti in zona. Indipendentemente dagli schieramenti, fanno fronte comune e premono sui Governi nazionali. Così la politica romana, tutta, si mobilita per mettere le mani sui 10 miliardi per Roma 2020; così ha fatto quella milanese per i 12 miliardi dell’Expo 2015; sempre Roma per i 6 (ma qualcuno prevede 10) della Linea C della sua Metropolitana; i Piemontesi per i 6 (o i 20) della Torino-Lione; i Genovesi per i 7 del Terzo Valico dei Giovi; Calabresi, Lucani e Campani per i 10 (o i 15) della Salerno-Reggio Calabria; i Baresi per l’A/C Napoli-Bari; Catanesi e Palermitani per la Palermo-Catania … l’elenco è lungo, soprattutto per il Centro-Nord.
Ma c’è un’eccezione.
Una città in stato preagonico dove alcuni dei parlamentari più prestigiosi tuonano contro l’unica grande opera che potrebbe nascere sul territorio. Nel silenzio imbelle dei Signori del Ponte (come li chiama Gianpiero D’Alia). Lo stesso Sergio Rizzo, sul Corriere della sera di lunedì, ha citato esterrefatto la dirompente intervista video di Danila La Torre su Tempostretto. Sia chiaro che non è il No al Ponte in sé che ci lascia perplessi, bensì le motivazioni addotte. Con apprezzabile franchezza, infatti, il capo dei senatori UDC afferma che destinare risorse al Ponte è uno spreco: l’opera non serve né alla città né alla Sicilia né al Paese.
Con il corollario che si tratta di un’operazione pianificata a tavolino allo scopo di “fregarsi la penale”.
Come spiegato in premessa, il rispetto per le casse dello Stato è un sentimento rarissimo nel panorama politico italiano: la stragrande maggioranza dei parlamentari e degli amministratori locali preferisce arraffare tutte le risorse pubbliche possibili a favore del proprio territorio. Infischiandosene dell’interesse generale. Messina costituisce un’eccezione lodevole e significativa. L’importanza del tema poi si presta a un accurato approfondimento.
Una corretta pubblica analisi costi/benefici è alla base del confronto e della dialettica politica.
Fuori dalle segrete stanze del potere e da interessi privati più o meno nascosti.
Facendo per una volta a meno di slogan o di insulti da curva Sud.
A D’Alia il merito di aver buttato il sasso in piccionaia. C’è qualcuno che lo raccoglie?