Il video parla di noi. Di noi e delle nostre figlie o sorelle minori. Ma anche dei nostri figli o fratelli. Il video parla di noi come comunità “social” che ha sostituito la bellezza reale a quella virtuale, artefatta e che collega la nostra autostima direttamente alla finzione, alla costruzione di canoni che non esistono nel quotidiano.
Il filmato di Dove, utilizzato nell’ultima campagna promozionale #bellezzasenzafiltri nell’ambito del progetto “Autostima”, ci racconta quel che migliaia di adolescenti sanno in tutto il mondo e che spesso le porta al Pronto soccorso, dal medico, in un reparto di neuropsichiatria, le porta nel pozzo nero dell’anoressia, della bulimia, della depressione, dell’autolesionismo.
Il film di appena 1 minuti, ideato da Ogilvy, dal titolo “Revers selfie”, è un pugno alla stomaco per noi adulti distratti, educatori e formatori, o semplicemente genitori o ancora per noi che diventiamo modelli da seguire. Noi, l’esercito del selfie che nell’anno della pandemia ha fatto incetta delle app che trasformano il nostro aspetto per renderlo “perfetto”. O meglio “uguale a quello di tutti gli altri”.
Il male che stiamo facendo alle nuove generazioni è incalcolabile, il danno rischia di diventare irreversibile. In Italia lo spot, diffuso dal 26 aprile, si chiama “il volto nascosto dei selfie”, che poi è il volto reale, quello che non fa uso di non nessun filtro. Oggi gli strumenti di editing sono accessibili da tutti, basta premere un pulsante. La campagna nata per contrastare l’utilizzo eccessivo dei filtri digitali rientra nell’ambito del Dove Progetto Autostima, che ha come obiettivo aiutare le nuove generazioni ad avere un rapporto positivo con il proprio aspetto fisico, aumentare la propria autostima e realizzare il proprio pieno potenziale.
‘Reverse Selfie’ inizia con un’immagine che quella che appare come una giovane donna ha pubblicato di sè stessa sui social media. L’azione si riavvolge come un nastro mostrando tutti i ritocchi che sono stati necessari per creare quell’immagine. Ecco che scompare il filtro che fa apparire la capigliatura perfetta e pettinata, per poi passare alle modifiche della linea degli occhi, la correzione del naso, le labbra che apparivano “rimpolpate” tornano alla realtà. Riappare la piccola imperfezione che era stata “cancellata” con un click. Sparisce il trucco, i filtri, tutto. Ed alla fine ecco Greta. Scopriamo che non è una giovane donna: è un’adolescente.
Ha un volto acqua e sapone e un velo di tristezza, perché è la prima immagine di un video che attraverso l’uso sapiente dell’app la porterà ad essere quella che non è. Peggio, la porterà a mostrarsi come lei crede di dover essere, come lei pensa che gli altri la accetteranno se appare così. Perché i canoni della bellezza finta, quella sui manifesti, sui social, diventano prigioni, diventano gabbie, diventano dogmi che incidono sull’autostima. Se non sei come le altre allora non sei niente. Non sei bella. Non sei bello. Sei diverso. E se questo meccanismo già incide sulla psiche di noi adulti figuriamoci quali devastanti effetti ha sugli adolescenti. Infatti i danni, e i cocci, li raccolgono i servizi sociali, gli psicologi, i garanti dell’infanzia, le famiglie, i medici di famiglia.
“La pressione dei social media sta danneggiando l’autostima delle nostre ragazze“, si legge nel copy. “Rimuoviamo il danno“. Alessandro Manfredi, vicepresidente esecutivo di Dove sottolinea in una nota che “quindici anni dopo il lancio di ‘Evolution’ dedicato alla manipolazione delle immagini nella pubblicità, questo nuovo film affronta di nuovo il problema della distorsione digitale, ma questa volta, attraverso la lente delle app di ritocco. Ora che i social media sono diventati parte della nostra vita quotidiana, la distorsione digitale sta accadendo ogni giorno e gli strumenti una volta disponibili solo per i professionisti sono ora accessibili alle ragazze con il semplice tocco di un pulsante. Le ragazze di tutto il mondo hanno iniziato a sentire la pressione di modificare e distorcere il loro aspetto, per creare qualcosa di ‘perfetto’ che non può essere raggiunto nella vita reale. Dopo un anno di maggiore tempo sui display degli smartphone per la pandemia, non c’è mai stato un momento più importante per agire”.
Quindici anni fa l’industria della bellezza rischiava di diventare la causa del maggior danno all’autostima delle donne. Oggi la minaccia maggiore viene dall’uso distorto delle app e dei selfie, dall’abuso di immagini artefatte spacciate per reali. E’ fin troppo facile dirci, dire loro: “sei bella come sei“, se tutto intorno ti spinge a camuffare la tua immagine, cambiarla, cancellarla, stravolgerla, fino a negarla. Fenomeni come il body shaming sono figli di questa logica perversa che sta rovinando le nuove generazioni. (e anche la nostra).