Dopo l’articolo sulla “Galea della Lettera”, vogliamo offrirvi qualche approfondimento e delle riflessioni, da una conversazione con Franz Riccobono (parti in corsivo) – membro storico del Comitato Vara e autore assieme ad Alessandro Fumia di una corposa monografia sulla Vara (La Vara, 2004) – a proposito d’un apparato dimenticato che si allestiva per il 3 Giugno e per il Ferragosto.
Quando si vive in un momento di decadenza (qual è quello della nostra tradizione) bisogna trovare degli elementi innovativi che inneschino una rinascita; siccome la storia è ciclica, spesso è lo stesso passato a fornire ciò che ci serve per risollevarci. Nel caso delle tradizioni (vive condensazioni dell’identità d’una comunità), la nostra nello specifico, guardando al passato possiamo ritrovare moltissime machine festive che rendevano le solennità messinesi potenti attrazioni “turistiche” capaci di calamitare migliaia e migliaia di persone in città. Uno di questi, è la Galea, suggestiva quanto sconosciuta. Cosa ne rimane oggi?
Al Museo si conservano dei preziosi reperti che documentano in maniera fastosa la tradizione di realizzare una galea votiva da parte del Capitolo della Cattedrale: una decorazione a placche di rame sbalzato, cesellato e dorato, di grandi dimensioni, che racconta la pia tradizione dell’ambasceria dei Messinesi alla Vergine e la benedizione di Maria alla città di Messina. In precedenza i quadri erano dipinti direttamente sulla Galea, ma questi si rovinarono e fu deciso perciò di sostituirli con ornamenti meno deperibili. Questi placconi furono eseguiti a fine Settecento dall’orafo Domenico la Spina su disegno del pittore Carlo Minaldi, entrambi messinesi.
Queste nove opere in stile neoclassico sono ricche di particolari artistici notabili. Purtroppo non ve ne sono fotografie in rete, perciò vale la pena descriverle qui, per soddisfare la curiosità del pubblico. Sono nove in tutto, quattro per il lato sinistro, una centrale per la poppa e altre quattro per il lato destro.
I: La predicazione di San Paolo ai Messinesi. L’apostolo Paolo predica con forza il Cristianesimo al popolo di Messina, che ascolta attonito e commosso. Eretto sopra un piedistallo in una posa volitiva, Paolo sembra la rappresentazione d’un dio greco. La visita di Paolo a Messina tuttavia è un fatto fortemente dubbio, non corroborato dalla cronologia dei suoi viaggi.
II: Gli Ambasciatori accolti da San Giuseppe. I tre ambasciatori messinesi, tre ufficiali, sono appena scesi dalla nave e si presentano a Giuseppe il Falegname, sposo di Maria. La comparizione di San Giuseppe nella leggenda è inconsueta, giacché per la maggior parte delle tradizioni fu uno sposo già anziano e sarebbe morto prima che il figlio iniziasse a predicare; in realtà, la sua vecchiaia fu un’“invenzione dogmatica”.
III: La Madonna, in trono, ascolta l’ambasceria. Gli ambasciatori vengono presentati a Maria da Paolo, mentre s’inginocchiano, ed ella in piedi li benedice. Da notare che i tre messi si sono tolti gli elmi in segno di rispetto, ma le armature di foggia romana conferiscono un’aria marziale alla scena: un’immagine dell’orgoglio messinese che si sottomette soltanto di fronte alla divinità.
IV: La Madonna affida la Sacra Lettera. Or seduta come una vera regina, Maria consegna la Sacra Lettera appena scritta ai tre ambasciatori prostrati ai suoi piedi, sotto lo sguardo vigile di Paolo che sta in piedi con lo spadone a riposo. Ancora a capo scoperto, i messi appaiono ora molto più assorti nell’incontro, e la lunga pergamena quasi ne occulta le fattezze.
V: La Vergine che mostra il foglio ov’è scritto: “VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMVS”. Maria, umile ma con una radiosa corona solare in capo, è rappresentata nell’atto di benedire con la destra e mostrare aperta la Sacra Lettera con la sinistra.
VI: Il Vescovo Bacchilo mostra la Sacra Lettera. Raffigura il primo Vescovo di Messina, Bacchilo, mentre mostra la Sacra Lettera appena arrivata dinanzi a una folla riunita. San Bacchilo è erroneamente rappresentato già in una tenuta vescovile che paradossalmente, in quel tempo, i cristiani avrebbero reputata troppo “collusa” con altre religioni.
VII: La Fede indica il Vascello prodigioso, carico di grano. È qui ritratto forse un episodio verificatosi durante la carestia provocata dal blocco navale angioino (Guerra del Vespro), quando un bastimento di grano (Vascelluzzu) sarebbe misteriosamente arrivato in risposta alla Fede dei Messinesi. Nel quadro si distingue (Sant’)Alberto degli Abati, che ispirò la preghiera di Messina.
VIII: La Madonna appare ai Messinesi. La Madonna è assisa sopra una nube, attorniata da giovani puttini, davanti alla folla messinese che la loda con fervore. Questa è l’iconografia classica dell’Assunta; non si capisce bene se l’apparizione sia quella della Dama Bianca – avvenuta, si dice, proprio a Ferragosto – che difese le mura sempre durante l’assedio di Messina nella Guerra del Vespro.
IX: La Fede sul carro travolge gli infedeli. La Fede, in abito monacale e con in braccio una croce, è seduta sopra un trono trainato da due cavalli che calpestano i suoi nemici. Invero, vediamo un trono-carro, identico a quello della dea Cibele, con la differenza che il suo è trainato dai leoni.
La leggenda per come la conosciamo è poco attendibile (da studiare, però, non da liquidare), ma questi altirilievi sono pregevoli opere d’arte degne d’essere conosciute e viste.
A prescindere da questi placconi, la Galea era veramente un apparato sorprendente per chi l’osservava e assisteva ai suoi spettacoli musicali e pirotecnici. Anche perché era di grandi dimensioni, con una lunghezza ricordata da diversi autori compresa tra i trenta e i cinquanta metri.
Negli anni ’80, quando per l’ultima volta fu restaurata la Vara sulle indicazioni disposte dal noto architetto palermitano Rodo Santoro – specializzato tra l’altro in apparati celebrativi, incaricato più volte per la realizzazione del Carro Trionfale della Santuzza –, lo stesso propose il rifacimento della celebre Galea, presentando all’amministrazione comunale un progetto con specifici disegni utili alla sua ricostruzione. Un’ipotesi purtroppo rimasta nelle buone intenzioni. Ancora nel Novecento il ricordo della Galea era vivo e si tentò più volte di reintrodurla in mare, come quella che vediamo in immagine, una fotografia firmata “Maresca” databile alla fine degli anni ’20; un’altra fu approntata per la Festa delle Barche degli anni ’50.
La Galea riprodotta oggi sarebbe sicura fonte d’interesse. L’impossibilità di montarla in una vasca non è un problema, anzi, essa in mare avrebbe una suggestività maggiore: immaginiamo che spettacolo può essere, di sera, una nave antica tutta illuminata, che spara fuochi d’artificio a ritmo di musica nel buio della notte, riflettendosi sulle acque scure del porto! Ora abbiamo mezzi più efficaci rispetto al passato, dovremmo seriamente pensare a ricreare la Galea.
A maggior ragione perché è un nostro simbolo importante: si ritrova un’insistenza del tema navale nell’arte messinese. Nell’altare privilegiato della Madonna della Lettera al Duomo, nell’abside di sinistra, c’erano una volta appesi dei lumi votivi in argento che non a caso avevano la forma di galea; l’unico rimasto è custodito nel tesoro del Duomo. Tutto ciò si ricollega al prestigio sul mare della nostra città. Difatti, l’imperatore Enrico VI – Re consorte di Sicilia – concesse a Messina le proprie insegne (aquila nera a due teste in campo bianco, ma senza gli attributi imperiali) affinché fossero usate dalla nostra marina, insieme ad altri privilegi che facevano di Messina una repubblica marinara al pari delle altre di quel tempo, con una propria bandiera; è curioso che le Tavole Amalfitane, secondo Luigi Genuardi, sarebbero state copiate o almeno ispirate dai nostri Capitoli del Consolato del Mare.
Purtroppo le nove placche al Museo sono di ristretta fruizione, perciò è molto difficile che vengano conosciute dalla popolazione e dai turisti, e con esse rimarrebbero oscure alcune importantissime memorie di Messina, che in ambito cattolico stanno ormai cedendo il passo in favore d’altri aspetti religiosi.
Così come avveniva per i cicli a mosaico delle cattedrali normanne, le placche della Galea erano come dei “fumetti” di quel tempo e permettevano alle persone d’avere una spiegazione completa e immediata della tradizione messinese della Lettera. Sarebbe molto meglio se anziché stare dove si trovano venissero date in prestito temporaneo, potrebbe ipotizzarsi pure un ritorno in ambito ecclesiale al Duomo, per sottolineare il legame di Messina con Maria; anche perché, purtroppo, non c’è esposto nessun elemento iconografico (oltre quello dell’altare maggiore) che riconduca al culto della Madre della Lettera.