Quote rosa? In Sicilia il rosa sembra non essere troppo di moda in questa stagione, ovviamente elettoralmente parlando. Nonostante siano tante le donne attive nella vita politica siciliana, ma anche messinese, le elezioni appena concluse consegnano un amaro risultato per le donne. Intanto partiamo dal numero più indicativo: su 70 deputati eletti all’Ars, sono solo 13 le donne che hanno ottenuto uno scranno a Palazzo dei Normanni. Messina manda a Palermo tre donne su dieci deputati eletti: Valentina Zafarana per il Movimento 5Stelle, Bernardette Grasso con Forza Italia e Elvira Amata per Fratelli d’Italia. A parte la Zafarana, che è stata la più votata nella lista di Messina, le altre due deputate ce l’hanno fatta grazie alla loro presenza nel “listino” del presidente, nonostante si tratti di due donne impegnate in politica da tempo e già con esperienze di governo sulle spalle, sia regionale che comunale.
Il problema però non è votare un uomo piuttosto che una donna basandosi solo su una mera differenza di genere. Il problema sono le quote rosa così come sono state concepite. In questa tornata elettorale la Sicilia ha dovuto testare per prima il nuovo regolamento sulle quote rosa approvato nel febbraio 2016, con l’obiettivo di far salire la quota delle consigliere regionali italiane dal misero 18% ad almeno il 40%. Obiettivo che chiaramente, numeri alla mano, non è stato neanche sfiorato. In troppi casi le donne sono servite solo come tappabuchi, per riempire liste che dovevano avere obbligatoriamente la presenza femminile che però un po’ ovunque si è trasformata solo in un misero nome in mezzo ai candidati “veri”, naturalmente uomini.
A livello regionale basta vedere quante donne ha portato ogni lista all’Ars. Le 4 liste di centrodestra, tutte insieme, hanno eletto 6 deputate: Forza Italia ne conta 2 su 13, #Diventerà bellissima 1 su 6, Udc 2 su 6, Fratelli d’Italia-Noi con Salvini 1 su 4. Il Pd ha eletto solo una donna su 11 deputati. L’unico a fare la differenza è il Movimento 5Stelle, che da solo ha portato 7 deputate su 20 eletti. E il risultato finale è che sono proprio i pentastellati ad aver davvero rispettato le quote rose, portando all’Ars più della metà di tutta la rappresentanza femminile al parlamento siciliano.
Guardando al voto messinese, il dato è totalmente in linea con questo trend negativo. A Messina città quasi in ogni lista, tranne qualche rara eccezione, le donne candidate sono servite soprattutto per chiudere le liste a beneficio dei candidati uomini. Per esempio basta prendere la lista del Pd: a Messina i 4 candidati uomini, Franco De Domenico, Pippo Laccoto, Matteo Sciotto ed Emanuele Giglia hanno totalizzato complessivamente 9922 voti; le 4 donne, Alessia Currò, Giulia Iachipino, Letteria Gogliandolo e Mariella Grazia De Pasquale, insieme hanno totalizzato solo 305 voti. In pratica significa che, senza guardare ai casi specifici, ogni uomo ha preso in media oltre 2mila voti, contro una settantina delle colleghe di lista. Un altro esempio significativo, sempre limitandosi al caso di Messina città, può essere quello della lista di Forza Italia: escludendo Bernardette Grasso che ha fatto una vera campagna elettorale per essere eletta, le altre due donne in lista (Elvira Mento e Cristina Barresi) hanno preso complessivamente solo 72 voti contro gli oltre 14 mila voti totalizzati dai colleghi uomini (Luigi Genovese, Santi Formica, Tommaso Calderone, Nino Germanà e Federico Raineri Mangialino). L’elenco potrebbe continuare con le altre liste, ma i dati sono pressoché uguali un po’ ovunque. Va un po’ meglio nella lista Cento Passi per Claudio Fava, dove le due candidate Ketty Bertuccelli e Raffaella Campo si sono fatte valere perché si trattava di una candidatura vera. Spicca positivamente la lista del Movimento 5 Stelle: le 3 donne candidate a Messina, Valentina Zafarana, Angela Raffa e Antonella Papiro, hanno superato i 4 mila voti, eguagliando praticamente gli uomini che in 5 hanno superato di poco le 7 mila preferenze. E’ vero che in casa pentastellata è il simbolo spesso a richiamare i voti e questo forse si traduce in una redistribuzione senza confini di genere. Il caso del M5S dimostra però che le quote rosa, se usate bene, funzionano. Il problema è che utilizzandole solo perché lo prevede il sistema elettorale se ne svuota la funzione originaria. La colpa è anche di chi si presta a mettere il proprio nome in una lista senza avere nessuna velleità politica. Basta ricordare i giorni frenetici che hanno preceduto la presentazione delle liste, quando per esempio il Pd si è ritrovato a dover cercare disperatamente delle donne per poter chiudere il cerchio, dopo diversi no da chi non aveva intenzione di accettare. Utilizzate così dai partiti, insomma, le quote rosa rischiano di istituire la figura della “candidata riempilista”, utile per trainare l’elezione di qualche candidato uomo, ma penalizzante per quelle donne che invece sarebbero pronte a scendere in campo se fossero considerate in posizione eleggibile e al pari dei colleghi uomini. A Messina sono state diverse, soprattutto nel Pd, a rifiutarsi di giocare una partita in cui praticamente sapevano già di stare in panchina.
Un ruolo determinate lo ha anche l’elettorato naturalmente. Quasi tutte le donne si dichiarano favorevoli alle quote rose, ma al momento del voto è chiaro che tutto questo non si traduce nella volontà di mandare al governo delle donne. A Messina, per esempio, su 100 mila votanti la metà erano donne, ma il voto come abbiamo visto si è concentrato per lo più sugli uomini.
Il prossimo banco di prova importante saranno le amministrative in città nella prossima primavera. In quel caso si voterà come cinque anni fa, con la doppia preferenza di genere che per il consiglio comunale prevede un voto obbligatorio per un uomo e uno per una donna. Anche in quel caso il rischio “riempilista” sarà altissimo, ma l’esperienza recente ha dimostrato che a parità di condizioni le donne che vogliono realmente fare politica non avrebbero neanche bisogno di quote rosa. Per esempio alle amministrative del 2013 Emilia Barrile fu la consigliera più votata dei 40 eletti.
E se evidentemente nel formulare le liste ancora oggi in Sicilia l'operazione marketing elettorale si concentra sempre sull'uomo, anche se "impresentabile", e non siamo pronti ad una candidatura al femminile per Palazzo d'Orleans, Messina potrebbe provare a cercare il suo primo sindaco donna. Un "candidato rosa" da cercare tra le tante professionalità, esperienze e competenze al femminile che offre la città dello Stretto potrebbe rappresentare una scelta coraggiosa e controtendenza, ma anche una mossa intelligente in chiave di risposta elettorale.
Francesca Stornante