“La realtà produttiva più importante del territorio provinciale”. Questa è la Raffineria di Milazzo per Confindustria Messina. Per gli ambientalisti, viceversa, è un fattore di inquinamento letale per il territorio e i suoi residenti. Due punti di vista che si sono più volte fronteggiati nel tempo e che faticano a trovare una sintesi. Ennesimo punto di attrito nella lunga saga che vede contrapposti gli interessi economici che ruotano intorno all’impianto milazzese e le battaglie ambientaliste per la cura del territorio e la salute dei cittadini, la visita effettuata alla RAM dal neo presidente di Confindustria Messina, Alfredo Schipani, recatosi a Milazzo insieme al direttore generale Laura Biason ed ai vice presidenti Salvatore Arcovito e Sebastiano D’Andrea, questa mattina ha visitato la realtà produttiva più importante del territorio provinciale. Ad accogliere gli ospiti, il direttore generale Gaetano De Santis, vice presidente dell’Associazione con delega ai Rapporti tra Grandi e Piccole imprese e all’Ambiente, il direttore tecnico Pietro Maugeri ed il direttore del personale Luca Franceschini.
” È bello constatare la presenza sul nostro territorio di eccellenze produttive riconosciute a livello internazionale – ha dichiarato il presidente Alfredo Schipani – eccellenze mortificate da una burocrazia lenta e cavillosa che ne frenano continuamente lo sviluppo, come nel caso del nuovo impianto di produzione idrogeno che è stato ultimato a giugno ma è ancora in stand-by, un’opera costata 65 milioni di euro”. L’impianto in questione resta chiuso, secondo Confindustria, a causa di quelle che lo stesso Presidente definisce “farraginosità dell’iter autorizzativo”. Auspica, dunque, l’attivazione del nuovo impianto, Schipani, partendo dal presupposto che l’alta tecnologia che lo compone offre migliori garanzie anche dal punto di vista dell’inquinamento e della sicurezza. Di tutt’altro avviso le associazioni ambientaliste che da anni si battono per il diritto alla salute della zona tirrenica. Gli attivisti più che insorgere all’ipotesi di un nuovo impianto, punto il dito su quelli già in funzione, dichiarati non a norma in seguito ad un ispezione di tecnici regionali.
Correva l’anno 2012. Dopo un sopralluogo del CTR – Comitato Tecnico Regionale per la sicurezza – è emerso che la struttura industriale presenta delle criticità in caso di un sisma, di alluvioni e non ha adeguati standard per la salvaguardia del sottosuolo e per i servizi antincendio. Nel verbale successivo – redatto mesi dopo nel corso di un ulteriore sopralluogo ed inviato al Ministero dell’Ambiente oltre che alla Regione Sicilia – si evidenziava che le richieste fatte da parte del Ctr alla Raffineria non erano state soddisfatte. Il Ctr dichiarò allora il suo “no” ad eventuali ampliamenti degli impianti produttivi della Raffineria, mentre il presidente della commissione ambiente di Milazzo, Giuseppe Marano invitava il sindaco a dichiarare l’intera zona ad “alto rischio di crisi ambientale”.
Previsto in questi giorni un vertice con il CTR di Palermo, in cui si discuterà, oltre che degli impianti vecchi e nuovi, dell’impatto idrogeologico dell’intera struttura della Raffineria. In attesa dei risultati, l’Adasc – associazione per la difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini – interviene sulle dichiarazioni del presidente Schipani: “Ribadiamo che prima bisogna bonificare il territorio, poi si vede se questo nuovo impianto inquina meno come dicono, anche se resta il fatto che un impianto ha un camino che manda,comunque, agenti inquinanti – spiega il Presidente Peppe Maimone – Nel frattempo anche in quelli già esistenti non sono applicate tutte le norme imposte dalla Direttiva di Seveso. In caso di grave incidente la popolazione non è al corrente di cosa bisogna fare”.
La Direttiva di Seveso nasce nel 1982 dopo l’incidente avvenuto nella cittadina lombarda, che spinse gli stati dell’Unione Europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. La direttiva impone agli stati membri di identificare i propri siti a rischio, l'esistenza in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza, la cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino, il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio, l'informazione degli abitanti delle zone limitrofe, l'esistenza di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio. “Per prima cosa ripristiniamo la normalità – invoca il presidente dell’Adasc – risaniamo il territorio e poi vediamo. Il presidente di CONFINDUSTRIA sa benissimo qual è la situazione , prima di parlare del nuovo impianto pensi a far rispettare la legge". (Eleonora Corace)