Quanto conosci davvero chi ti sta intorno?
Ci sono persone che popolano la nostra quotidianità. Non sono nostri parenti o nostri amici, ma fanno parte della nostra vita. Li incontriamo per strada e li riconosciamo, li salutiamo magari, se capita parliamo di loro con simpatia, poi li conserviamo in qualche angolo della nostra mente, come un dettaglio del nostro vivere quotidiano. Un dettaglio simpatico magari, buono per qualche aneddoto, per farci sù una risata tra amici, ma pur sempre un dettaglio.
Poi succede qualcosa, qualcosa di brutto e di inaspettato. Quella persona all’improvviso scompare e quel piccolo, insignificante dettaglio occupa d’improvviso il centro dei nostri pensieri.
Chi era davvero quella persona? Quanto poco sapevo di lui… Scopriamo che ci manca, vorremmo tornare indietro, magari fermarci a parlare, andare oltre un semplice “buongiorno”, una semplice battutta.
“Icaro”, è una storia così. E’ la storia di Vanni, un senzatetto che sogna di avere le ali, per uscire dal paese e volare via lontano, in alto, verso il mare. Questo in paese lo sanno tutti. Si divertono a scherzare con lui, quando lo incontrano. “Ehi Vanni, ti sono spuntate le ali? A madunnuzza ti fici a grazia? Quando torna tua moglie, Vanni? E’ ancora a raccogliere funghi?” Ma Vanni non perde la pazienza. Tutte le sere apre la sua grande valigia, la sola cosa e la più cara che ha. Tira fuori tre ceri e ripete al cielo la sua preghiera:
“Vi prego Madonnina, fatemi spuntare le ali…”
Sa che in paese lo prendono in giro. “Mi vogliono bene”, dice, “come faranno quando me ne andrò… a chi faranno i chiodi?”. Ma da quella piazza, Vanni non riesce ad andarsene. Dalla cima del campanile riesce a vedere il mare, ma una volta giù non può raggiungerlo… Non riesce a trovare la strada. E’ come Icaro nel labirinto, che è la sua casa e la sua prigione. Per questo, con pazienza, raccoglie le piume che trova per terra e, in quella grande valigia, custodisce il suo tesoro prezioso.
La tiene stretta mentre ci racconta la sua storia… di come un tempo fosse un uomo rispettabile, con un lavoro, una bella casa e una famiglia… una moglie bellissima con i capelli color del grano, e un bambino che era la luce dei suoi occhi… della sua gioia nel portarlo con sé, nello spiegargli le cose del mondo… del suo orgoglio nel provare a rispondere alle mille domande di quegli occhi luminosi, vispi di curiosità, e carichi di quella fiducia sconfinata che ogni bambino ha nel proprio papà. Di come un giorno, sulla spiaggia, mentre il bambino giocava tra la schiuma, qualcosa catturasse la sua attenzione… un antico baule mezzo nascosto dalla sabbia, e di come lui, mosso dalla curiosità di trovarvi dentro chissà quali tesori, travolto dall’improvvisa illusione di poter prendere il suo contenuto, reso sordo e cieco dalla cupidigia mentre a pietrate, dissotterratolo, provava con foga ad aprirlo… non si accorgesse che le onde avevano travolto il piccolo, portandolo al largo, lontano. Di come, finalmente le grida lo raggiungessero e di come si gettasse in acqua, nuotando a perdifiato, maledicendo se stesso nell’impossibile sforzo di raggiungerlo.
Di come, nel buio del blu, del bambino non restasse più traccia.
Del rumore assordante del silenzio, mentre a bracciate tornava verso riva.
Del vuoto tremendo della sua anima, vuota come quel vecchio baule, che conteneva solo conchiglie.
Che conteneva solo gusci vuoti.
Ecco, sembra volerci dire con quegli occhi luccicanti. Ecco perché sono diventato così. Ecco perché ogni tanto vedete Vanni fare cose strane, raccogliere le piume da terra, correre da un lato all’altro della piazza, prendere la rircorsa, sforzarsi di saltare ancora un po’ più in alto, con gli occhi spalancati verso il cielo.
Ed ecco perché, adesso, Vanni vi dice arrivederci, e con un ultimo salto spicca il volo.
Grande e meritatissimo successo, sala piena in entrambe le date e finale con standing ovation per questo spettacolo toccante e delicatissimo. Complimenti alla regia di Filippo Gessi e all’autore del testo, Salvatore Arena. Straordinario il protagonista, Luca Fiorino, che con la sensibilità di un bambino ci ha condotto per mano, a scoprire cosa si nasconde oltre la superficie delle cose, là dove spesso, per noncuranza o superficialità, non arriviamo a vedere. Una storia che invita a fermarsi un attimo e a guardarsi intorno con più attenzione, per capire che a volte un singolo, minuscolo dettaglio nasconde molto di più.