Dissacrante, provocatoria, inaccessibile, a volte tanto sensibile quanto distaccata e cinica. E’ l’arte, soprattutto l’arte contemporanea che ci ha abituati agli eccessi, alle farneticazioni concettuali, alle esagerazioni perché in fondo “l’importante è esagerare sia nel bene che nel male senza mai farsi capire”. Ma ha davvero esagerato Giuliano Bellè? Scultore di origini reggine, da decenni “americano” di Los Angeles. In questi giorni il suo manifestato è apparso misteriosamente in città, accanto a quelli veri.
Un’operazione di arte contemporanea, di quella che fotografa la realtà senza tanti complimenti per niente e per nessuno, nemmeno per la sacralità del mistero dei misteri. Eviterò di concentrarmi sulla facile denuncia che appare immediata anche perché ormai abbondantemente abusata. Voglio scrivere, invece, del pensiero subito dopo l’immagine della spazzatura, dell’assenza dell’estetica e del decoro sociale a cui quasi tutti ormai si sono rassegnati e che anzi riconoscono come “normalità”. E allora cosa può fare l’arte se non morire soffocata non tanto da metri di spazzatura quanto dalla rassegnazione che le impedisce di riportate il bello in superficie? All’artista non resta altro che perire volontariamente, ucciso dall’assenza di bellezza ma soprattutto dalla mancata reazione sociale. Ucciso dall’indolenza e dall’indifferenza. Muore e ci accusa dal manifesto. Accusa tutti.
Muore per primo, prima di tutti gli altri e anticipa i tempi. Perché l’arte è lungimirante. E’ una Cassandra che urla il destino degli uomini. Una bocca aperta da cui esce una voce condannata a non essere creduta. E allora Bellè è la Cassandra tornata a Reggio dopo tanto mesi, “entusiasta” come lui stesso ci ha detto “vivo a Los Angeles da oltre 30 anni, in questi luoghi ho iniziato a fare arte. Le mie sculture sono il risultato di assemblaggi. Saldo tra le lacrime e le risate. Non posso a farne a meno. Qui ho mia madre, torno soprattutto per lei.” – continua.
“Questa estate, però, ero spinto anche da altro. Mi ha portato l’entusiasmo di fare qualcosa per la mia città. Aprire una laboratorio, un centro d’arte. Insegnare ai giovani talenti reggini le mie tecniche. Credo nei Calabresi, nel loro genio, ma l’impatto con la realtà mi ha spaccato in due. Non tanto per le condizioni della città che sono gravi è vero, tanto per questo sentimento di rassegnazione e “spegnimento” che si avverte fortissimo. Ecco la città è riuscita a spegnermi e sono inevitabilmente morto. Non potevo fare altro.” conclude. E quindi, ripeto la domanda: ha esagerato Belle? Siamo convinti di si, ma l’arte è questo altrimenti chiamatela decorazione.