REGGIO CALABRIA – Lo stato dell’arte del commercio a Reggio Calabria? «Rispetto al medesimo periodo dello scorso anno, il comparto registra un lieve miglioramento. Una percentuale piccola, ma dal forte valore simbolico, perché incarna un primo segnale di ripresa». Parola di Lorenzo Labate, presidente di Confcommercio Reggio Calabria.
Una ventata d’ottimismo che è un toccasana per chi sta fuori dalla finestra di questo difficile segmento produttivo, dorsale economica da sempre fondamentale per la città. Nove commercianti su dieci, se ci parli, illustrano una situazione da dopoguerra dell’economia reale e del loro settore in particolare. Tanto più che, “là fuori”, l’ansia da pandemia impazza e gente per le strade ce n’è pochina a qualsiasi ora del giorno; figurarsi nei negozi…
Il punto cruciale, in effetti, e parlando con Tempostretto il presidente Labate lo ribadisce con nettezza più volte, sta proprio nel riacquisire fiducia.
In cosa consiste questo trend positivo?
«Intanto, in riferimento alle festività natalizie e al primo periodo dei saldi, anche Confcommercio nazionale rileva un progressivo riavvicinamento agli esercizi commerciali “tradizionali”. Questa percentuale d’acquirenti che s’è staccata dall’e-commerce non è una cosa trascurabile, considerato che le transazioni online per due anni l’hanno letteralmente fatta da padrone, considerando i lockdown e le chiusure di tanti negozi».
C’è un riallineamento ai fatturati pre-pandemici?
«Ahimè no. Ci stiamo lavorando, ma siamo ancóra lontani: dovremo attendere parecchio, per centrare quest’obiettivo».
Tanti, tantissimi commercianti reggini tratteggiano un quadro a tinte fosche e parlano di chiusure imminenti, se non si sono già verificate…
«Purtroppo, hanno ragione: è l’eredità di questo biennio disastroso. Basti pensare che nel solo 2021 hanno chiuso 300mila imprese italiane, pari a svariati milioni di connazionali che rimangono senza lavoro. Localmente, in proporzione, siamo lì: un 20-25% d’aziende purtroppo ha chiuso i battenti, non riuscendo a reggere il carico della pandemia. Anche per via di due questioni…»
…Quali?
«In primis, molte di queste imprese erano già gravate di problemi finanziari. E poi, come andiamo dicendo da tempo, gli adempimenti fiscali hanno aggravato enormemente un periodo già gramo».
Scusi, ma gli indennizzi “da lockdown” non sono arrivati?
«Sì, sono arrivati. E certo non sono stati corposi come ci si aspettava: anzi, sono stati senz’altro insufficienti. Il più delle volte, in realtà, questi indennizzi son bastati a malapena a coprire i debiti fiscali: ma se i risarcimenti servono solo a pagare le tasse, di fatto non dispiegano effetti benefìci rispetto alla sopravvivenza dell’impresa».
I commercianti, non solo a Reggio in verità, lamentano molto gli effetti impietosi della crisi economica. Ma c’è un settore che probabilmente li avverte più di voi: i vostri clienti…
«Beh, certo. Ma più ancóra della crisi, i nostri clienti avvertono il senso di profonda incertezza rispetto al futuro anche prossimo, che li ha spinti e li spinge tuttora a incrementare il risparmio a discapito dei consumi. Ma è il classico “cane che si morde la coda”: più c’è incertezza, più gli acquirenti si chiudono “a riccio”, più l’economia si blocca».
Ci sono interlocuzioni in corso per agevolare misure in grado di darvi un po’ di respiro?
«Ci sono contatti con tutte le Istituzioni, a livello locale e regionale; ma anche e soprattutto a livello governativo, perché è soprattutto a livello nazionale che l’impresa va aiutata».
Intanto, un aiuto cruciale lo stanno fornendo i confidi come la “vostra” Assicomfidi.
Ma quanto all’erogazione di linee di credito, come sta andando?
«Le cose stanno andando meglio coi confidi, appunto, e l’attivazione dei vari fondi di garanzia. Ma non vanno assolutamente bene con le banche… Potrei citare Bob Hope: la banca è quel posto che ti presta dei soldi, se puoi dimostrare che non ne hai bisogno… Ecco, le garanzie di cui le banche si vogliono dotare sono eccessive rispetto a quelle che le imprese possono offrire in questo momento, per cui gli istituti di credito hanno alzato “un muro” nei confronti delle aziende a corto di liquidità. Ma se le banche non erogano liquidità alle imprese, le imprese non possono ripartire e dunque non potranno ripagare i debiti nei confronti degli istituti di credito…».
Come uscire dal loop, come uscire da questa crisi nel medio periodo?
«Ne usciremo intanto con la fine della pandemia, e dunque riportando la sicurezza nella quotidianità. Dopodiché, dovremo sedere a un tavolo di concertazione con tutti gli attori istituzionali e cercare i sistemi giusti per rimediare ai problemi che la crisi ha generato: e questo lo si può fare solo a livello nazionale, e adottando provvedimenti molto più seri ed efficaci di quelli che sono stati presi fin qui».
Proviamo a elencarne un paio tra quelli cui ambireste?
«Intanto, urge una riforma fiscale per le aziende. In Italia fare impresa è diventata “un’impresa”, come dico spesso: lo era già prima, il Covid ha fatto emergere ancor più nitidamente i problemi preesistenti. Ed è indispensabile arginare lo strapotere dei mercati online, provvedendo a un’adeguata tassazione, visto che questi attori commerciali riescono a sfuggire a ogni controllo fiscale nel nostro Paese e operano dunque una concorrenza sleale nei confronti delle imprese che, invece, sono soggette a pesanti adempimenti fiscali. Aggiungerei: vorremmo che fosse resa più semplice la ripartenza per le aziende, già così provate dalla pandemia, alleggerendole di tutti quei carichi che bloccano lo sviluppo, a partire dalla parte burocratica per la nascita e la conduzione di un’impresa».
E lato-clientela?
«Bisogna ristabilire il tradizionale rapporto tra i commercianti, anzi un po’ fra tutte le imprese, penso ad esempio alle aziende di ristorazione, e i clienti. Il cliente ha bisogno di trovare all’interno degli esercizi commerciali degli amici, delle persone che lo ascoltano e che lo inducano ad aver fiducia nelle imprese del mercato tradizionale molto più che nel mercato online in cui non c’è un vero interlocutore e “non si vede” chi sta dall’altra parte».