REGGIO CALABRIA – Nei giorni scorsi, una strepitosa vittoria di una blasonata associazione consumeristica come l’Adiconsum di Reggio Calabria (presidente, Saverio Vespia) rispetto ai Consorzi di bonifica calabresi (“passando” per una vittoria specifica ai danni di un organismo consortile specifico, il “Basso Jonio reggino”).
Che è al contempo, un po’ in stile “Davide contro Golia”…”, la strepitosa vittoria di un singolo cittadino: il reggino Antonino Sgrò.
Premessa doverosa: i Consorzi in Calabria (ma non solo…) sono “materia incandescente“.
Un po’ considerati “carrozzoni”, un po’ destinatari di ruberie o intimidazioni, talora anche davvero clamorose, un po’ oggetto d’astruse e ipertrofiche riperimetrazioni da parte della Regione, un po’ protagonisti d’incomprensibili, laceranti ritardi nei pagamenti degli stipendi ai propri dipendenti che a volte sforano anche un anno (e proprio per questo i lavoratori del Consorzio “Basso Jonio reggino” domani protesteranno davanti a Palazzo Campanella, in concomitanza con la programmata seduta del Consiglio regionale).
Il presidente della Regione Roberto Occhiuto tutto questo lo sa molto bene: al punto che da tempo va dicendo di volerli riformare radicalmente. Su quest’argomento, dunque, è lecito – e auspicabile, aggiungiamo noi – attendersi sorprese, anche in chiave legislativa; anche se, è giusto precisarlo, le ultime “bacchettate” della Triplice sindacale a Occhiuto e al presidente della Sesta Commissione consiliare “Agricoltura” Katya Gentile (Forza Italia) risalgono solo a un mesetto fa, con la richiesta di dare corso urgentemente a una riforma complessiva del settore.
…Solo volendolo, si potrebbe forse ripartire… dall’opposizione: è già in campo da un anno e mezzo, infatti, la proposta che avanzò al riguardo un ex consigliere regionale del Partito democratico, che poi era anche il segretario-questore di minoranza a Palazzo Campanella: il cosentino – di Paola – Graziano Di Natale. Che in pratica intendeva ridurre in maniera draconiana gli organismi consortili fino allo scarnificato numero di tre, “cacciando via la politica” dalle varie governance: …secondo voi, perché non ha avuto séguito?
Alla luce dell’illegittimità della norma che impone il pagamento dei contributi di bonifica indipendentemente dall’effettività del beneficio fondiario – sancita dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 188 del 19 ottobre 2018 –, la Commissione tributaria provinciale di Reggio ha accolto il ricorso di Antonino Sgrò, «motivato da una questione di principio», rispetto all’ingiunzione di pagamento del contributo di bonifica per l’annualità 2017 notificatagli da Soget spa, importo: 85,88 euro.
La sentenza 4345/2021 della Commissione tributaria reggina chiarisce che il «presunto» tributo è da considerarsi nullo ab ovo, non essendovi stati, in concreto, «interventi conservativi e/o migliorativi» sulla proprietà di Sgrò. Ecco allora il pertinente richiamo alla pronuncia di quattro anni fa, con cui la Corte costituzionale dichiarò «incostituzionale l’art. 23 comma 1, lettera a)» della legge regionale 11 del 23 luglio 2003.
Peraltro, c’è da dire che la norma stessa è stata nel frattempo novellata proprio alla luce della giurisprudenza tributaria: in particolare, nel 2017, dopo un’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza sfavorevole agli organismi consortili esattamente per gli stessi motivi, recita adesso la “legge 11” che i contributi sono dovuti non più «indipendentemente» dall’eventuale beneficio, ma dai soli proprietari di fondi «che traggono un beneficio», reale e concreto, dall’attività del Consorzio irriguo di riferimento.
Nonostante i precedenti giurisprudenziali e a dispetto della modifica legislativa, «il Consorzio di bonifica del Basso Jonio reggino – si legge nella nota diramata dall’Adiconsum – s’è da molto tempo arrogato il diritto d’esercitare illecitamente la funzione d’esattore fiscale, che non tiene nel minimo conto le effettive ricadute sui terreni dei soggetti che rientrano nella sua giurisdizione». E dunque l’invio delle richieste di pagamento avviene «a prescindere dai lavori (pochi e inefficienti) effettuati nel territorio di competenza»; stando ad Adiconsum, all’opposto, è inoltrato a tutti i proprietari di terreni nel range del predetto organismo consortile.
Cosa più grave, stando all’associazione consumeristica, verrebbe inoltrato anche senza valutare l’«effettivo titolo di proprietà» dei notificati, anche se non più titolari di tale diritto reale «perché i terreni sono stati oggetto d’esproprio». E ancora, in caso di plurimi proprietari, la notifica del tributo verrebbe «effettuata a un solo soggetto, con le conseguenti liti» fra comproprietari che non è certo difficile immaginare.
Di converso, il «potere impositivo» del Consorzio si fonda sulla «legittima inclusione del bene immobile nel comprensorio di bonifica e del ‘beneficiario’, che all’immobile deriva dall’attività di bonifica», per citare la Corte costituzionale.
C’è da dire però che il presidente dell’organismo consortile soccombente (il “Basso Jonio reggino”) davanti alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, Giandomenico Caridi, ha replicato a mezzo stampa alla nota diffusa dall’Adiconsum.
Nel merito, Caridi ha precisato che col nuovo Piano di classifica oggetto della delibera numero 203 del 4 maggio 2017 del Consiglio regionale calabrese, è cambiato tutto; e infatti, rimarca il presidente del Consorzio di bonifica “Basso Jonio reggino”, l’avviso di pagamento impugnato vittoriosamente da Sgrò davanti alla Commissione tributaria provinciale è antecedente alle novità introdotte dalla delibera 203.
Da quella – già citata – novella in avanti, l’emissione del tributo di bonifica è subordinata al «beneficio conseguito dagli immobili consorziati» grazie all’«attività del Consorzio». E il Piano di classifica enuclea «i relativi indici e i criteri per il riparto delle spese».
Logica conseguenza, nell’analisi di Giandomenico Caridi: «I ruoli emessi dall’anno 2018 in poi non rientrano» tra quelli sui quali s’è abbattuta la scure dei giudici costituzionali. Un chiarimento ‘dovuto’, argomenta il presidente dell’organismo consortile, per «non ingenerare confusione e dubbi interpretativi». Mentre il Piano di classifica 2017 avrebbe «rimesso ordine e chiarezza nella materia»; e il Consorzio “Basso Jonio reggino”, dal canto suo, si starebbe limitando ad applicare le norme vigenti, confermando «la legittimità» del tributo.
Beh, tributo di bonifica più che legittimo, ci mancherebbe.
Ma sempre, e solo – su questo c’è poco da fare sofismi – nel momento in cui, Corte costituzionale docet, 1) siamo di fronte a un effettivo proprietario 2) il suo fondo ricada tra quelli che hanno avuto benefìci 3) i benefìci in questione siano eziologicamente riconducibili all’operato dell’organismo consortile di riferimento.
Il punto, come cristallizzato dalla marea di ricorsi che ha proseguito e sta proseguendo a inondare le varie Commissioni tributarie di tutta la Calabria, è che in tutti gli altri casi il tributo, com’è pacifico dalla pronuncia del 2018, è assolutamente illegittimo. E davvero, per citare Caridi, sarebbe il caso d’evitare «confusione e dubbi interpretativi»sul tema: la sentenza, al riguardo, è chiarissima.
Invece, in una controreplica l’Adiconsum evidenzia che lo scritto del presidente Caridi «si palesa lacunoso e fuorviante rispetto al problema» su cui la Commissione tributaria reggina «ha dato ragione al contribuente» (e che, peraltro, ha visto l’organo consortile non costituirsi neanche in giudizio).
Il punto? Sempre quello, non si sposta di un millimetro: all’esame degli atti e agli esiti della perizia di parte, è risultato chiaro che «l’attività svolta e le eventuali opere realizzate non hanno portato vantaggi o benefici tali da incrementare il valore dei terreni e degli immobili sottoposti a contribuzione, in rapporto causale con le possibili opere di bonifica poste in essere».
Quindi il famoso «beneficio di natura fondiaria» cui la Corte costituzionale subordina la legittimità del contributo richiesto non c’è stato, quantomeno nel caso di Sgrò. E, giusto per sgombrare ogni possibile dubbio residuo…, il beneficio «nasce dal rapporto tra l’opera eseguita e il fondo stesso, al quale apporta un incremento di valore derivante proprio dalla esecuzione dell’opera stessa».
Giurisprudenza tributaria a parte, va anche registrata una palmare incongruenza tra quanto affermato da Giandomenico Caridi e quanto si può leggere sul sito Internet dello stesso Consorzio di bonifica “Basso Jonio reggino”, stando al quale il Piano di classifica varato nel 2017 si applica già da quell’annualità. Ove le cose stessero realmente così, va pur fatto notare che il ricorso (vittorioso) di Sgrò non atterrebbe a una pratica disciplinata da una normativa ‘superata’.
Non solo: sul sito web del Consorzio, più in basso, c’è ampio riferimento alla “legge 11” e alla circostanza che «tutti» i proprietari d’immobili situati nel comprensorio dell’organismo consortile debbono contribuire alle spese d’esercizio e manutenzione del sistema delle bonifiche irrigue. Curiosamente, a dispetto della novella già citata, «nessun riferimento viene fatto alla nuova realtà impositiva prevista dalla legge 13 del 2017. Perché questa informazione parziale e distorta?», si chiede Adiconsum.
Il fatto è che il Consorzio ‘Bjr’ aveva redatto il nuovo Piano di classifica nel luglio 2014 – fa presente l’associazione consumeristica –, il 5 agosto e il 30 dicembre dell’anno successivo erano intervenuti i ‘via libera’ rispettivamente del Consiglio dei delegati e della Giunta regionale.
Al termine dell’iter, l’ok definitivo di mano consiliare, ossia la già citata delibera 203 del 2017 e, soprattutto, il 9 maggio 2017 – ricordate la data: 9 maggio, a soli cinque giorni dalla modifica del Piano… – l’intervento della “legge 13” con cui la Regione Calabria «cambia sostanzialmente la modalità di contribuzione», cristallizzando la questione in termini innovativi.
E torna il principio inossidabile già posto in rilievo: non «tutti» gli immobili dovranno versare il contributo di bonifica, ma solo quelli che dall’opera del Consorzio di riferimento hanno tratto l’ampiamente richiamato «beneficio».
…Solo che…
Avete già capito.
Come accade ai migliori burosauri, malgrado la “legge 13” la Regione non ha mai modificato i termini del Piano di classifica redatto nel 2014. Che dunque «parla ancora di beneficio indiretto e generale», ovviamente cassati dalla riforma approvata dal Consiglio regionale cinque anni fa e, ancora, disattende la cruciale norma finale della novella regionale, che prevede un ovvio aggiornamento del Piano.
Risultato?
Intanto, anche dopo la riforma 2017 «nelle cartelle che arrivano ai contribuenti dal 2017 in poi viene ancora inserito il codice tributo nr 1H78 (Consorzio o contributo di bonifica) previsto “per le spese afferenti il conseguimento dei fini istituzionali, indipendentemente dal beneficio fondiario”». E questo, rilevano Vespia & C., è ovviamente inaccettabile, perché ignora il nuovo Piano di classifica, la “legge 13” e la stessa giurisprudenza tributaria prima e costituzionale poi.
In seconda battuta, il Consorzio «pretende il tributo da tutti i proprietari» e non solo in forza del «beneficio» (“beneficio diretto”) esplicitamente richiamato dalla riforma e dalla magistratura, l’unico che può oggi legittimare la richiesta del contributo, ma «anche il cosiddetto beneficio indiretto e generale». Che invece è stato abolito: e addirittura un presidente di Consorzio (!) dovrebbe, ovviamente, saperlo bene.
Di qui la soddisfazione di Adiconsum per la decisione della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria e la conseguente vittoria di Antonino Sgrò. Ma soprattutto, il caloroso invito a «tutti i contribuenti ricadenti nel perimetro del territorio del Consorzio di Bonifica “Basso Jonio reggino” che si trovano a pagare un tributo non dovuto perché i loro fondi non ricavano un beneficio diretto a contattarla per avviare un’azione comune e collettiva contro questo comportamento che rasenta l’abuso da parte del Consorzio reggino».
Una class action che troverebbe i suoi presupposti: 1) nella numerosità dei consorziati-contribuenti che si trovano in un’identica, o quantomeno analoga, situazione dall’atmosfera kafkiana; 2) nella “serialità” di un’azione che, in sé, verrebbe a costare molto ma molto di più di quanto verrebbe a costare il pagamento di un balzello, tuttavia non dovuto.
Ma per quale motivo al mondo il Consorzio “Bjr” proseguirebbe nel suo quasi-abuso nei confronti dei (vessati) titolari di terreni non ‘beneficiati’ in alcun modo dall’opera dell’organismo consortile epperò ugualmente chiamati a pagare – senza titolo alcuno – il contributo di bonifica?
Lo spiega sùbito l’associazione consumeristica.
L’organismo consortile (…e non solo il “Basso Jonio reggino”, aggiungiamo noi, a quanto lamentano diversi nostri lettori di altre zone…) fa leva sull’inversione dell’onere della prova.
Fuori dall’ennesimo tecnicismo di questo testo – inevitabile sia così, vista la materia -, allo stato per l’ordinamento giuridico non è il Consorzio a dover provare la titolarità piena a richiedere il contributo ma, al contrario, la prova del mancato ‘beneficio’ «ricade sul contribuente».
Ma perché?
…Ricordate che vi avevamo chiesto di “tenere a mente” il giorno dell’approvazione del Piano di classifica? Ecco: il solito pasticcio all’italiana è possibile proprio perché il nuovo Piano è stato approvato cinque giorni prima del “disco verde” del Consiglio regionale alla “legge 13”.
Da questa perversa inversione dell’onere della prova arrivano difficoltà destinate a ripresentarsi annualmente, con costanza.
Di qui, nelle more dell’auspicata class action, l’invito forte di Adiconsum Reggio Calabria agli organi dei vari Consorzi di bonifica a chiedere, in autotutela, il contributo solo ai contribuenti effettivamente interessati da un «beneficio diretto» per i terreni di propria titolarità.