REGGIO CALABRIA – Paura (e “lieto fine”, fortunatamente…) per una coppia di coniugi reggini, che ha seriamente rischiato un avvelenamento da funghi.
A marito e moglie, entrambi sulla quarantina, era stata regalata un boccaccio con dei funghi delle Boletacee all’interno (vedi foto grande). Apparentemente, tutto regolare: ma come sanitari ed esperti micologi evidenziano costantemente, non bisogna mai fidarsi delle apparenze.
Ed è davvero il caso, anche per piccole quantità, di far sempre controllare in via preventiva dall’Ispettorato micologico dell’Azienda sanitaria provinciale i funghi della cui provenienza non si sia assolutamente certi, per evitare guai che – potenzialmente – possono concludersi anche con conseguenze gravissime, incluso il decesso.
Il 24 luglio scorso, a pranzo i due coniugi hanno consumato parte dei funghi contenuti nella boccetta che era stata regalata loro. Già dopo mezz’ora, però, la donna ha iniziato a sentirsi male; un quarto d’ora dopo, anche il marito ha avvertito problemi gastrointestinali.
A sera, erano entrambi ricoverati al Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria: prima passaggio in Pronto soccorso, poi Malattie infettive. Vomito, diarrea intensa, dolori addominali atroci – dai reni al pancreas – per via degli organi interessati al rilascio delle tossine fungine.
Il punto è che, com’è naturale, non c’era stata volontà d’avvelenare i destinatari del dono. Anzi: molto spesso queste specie di funghi vengono mangiati – incautamente -, dalle nostre parti.
Si tratta, nello specifico, di due tipi di boleti, entrambi comunque di specie considerata non commestibile: il Neoboletus erythropus, dalle nostre parti comunemente soprannominato turchino (benché, in realtà, dal colore scuro pronunciato) e degli ancor più classici fungi di conti, questa la ‘vulgata’ che nel Reggino avvicenda la denominazione scientifica del Boletus rhodoxanthus.
Le tossine di questi funghi risultano, peraltro, termolabili: con grande probabilità, nel caso di specie sarebbe stata sufficiente un’oretta di cottura in pentola per evitare conseguenze nocive per l’organismo…
Tuttavia, non era andata così.
Prime cure (flebo ed esami) a parte, i sanitari del Gom hanno subito contattato il Centro antiveleni di Milano per condividere le proprie acquisizioni; immediata anche la tempestiva risposta di Giuseppe Laface, agronomo micologo in forza al Servizio Igiene alimenti e nutrizione dell’Azienda sanitaria provinciale reggina.
Laface ha sùbito cercato d’identificare con certezza le specie fungine in questione e se il loro consumo fosse avvenuto previa cottura, per i motivi già citati e per avere elementi in grado di svelare se il rilascio d’eventuali sostanze nocive si fosse dispiegato in maniera immediata o “a rilascio lento” (a lunga latenza).
Modalità particolarmente insidiosa, quest’ultima, perché si manifesta solo dopo aver causato danni – sovente, irreversibili – all’organismo, dopo l’ingestione. Nell’eventualità di caso grave, sarebbe stato indispensabile un immediato raccordo con l’ospedale “Cardarelli” di Napoli (solitamente deputato a trattarli, in ragione di specializzazione e distanze da Reggio Calabria).
Per riuscire a identificare le specie di funghi effettivamente necessarie, è stato necessario un esame meticoloso – pezzo per pezzo – di tutti i funghi residui in boccetta da parte del micologo dell’Asp. Sarebbe bastato un pezzetto solo di funghi velenosi d’altro tipo per complicare la situazione, o comunque rendere necessaria una diversificazione della terapia da praticare.
Alla fine, però, s’è concluso che erano presenti in boccetta solo due specie delle Boletacee: per fortuna, a parte i dolori gastrointestinali, nessun serio danno era stato riportato dai due che ne avevano mangiato.
I due coniugi, complessivamente in buone condizioni, si trovano tuttora ricoverati precauzionalmente al Grande ospedale metropolitano.
Nonostante questo, già nelle prime ore di ieri le loro condizioni – in seguito alle più appropriate terapie – erano in nettissimo miglioramento: il “lieto fine”, con dimissioni annesse, è dietro l’angolo.