REGGIO CALABRIA – La Prefettura di Reggio Calabria è stata un fulmine: la sentenza relativa al “caso Miramare” è stata letta nel primo pomeriggio di ieri, e già in serata è arrivata la nota ufficiale relativa alla sospensione del sindaco e sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà.
Con lui, vengono sospesi dalle funzioni Armando Neri (entrambi gli Enti), Giuseppe Marino (entrambi gli Enti), Nino Zimbalatti (entrambi gli Enti), Giovanni Muraca (da assessore comunale ai Lavori pubblici e Grandi opere) e Saverio Anghelone (da consigliere comunale, funzione che l’ex vicesindaco dello stesso Falcomatà ha esercitato fin qui per Coraggio Italia nelle fila dell’opposizione).
Non mancano le attestazioni di solidarietà, anche “eccellenti”.
Si va dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori allo stesso “numero 1” dell’Anci – l’Associazione nazionale dei Comuni italiani e sindaco di Bari Antonio Decaro («Non posso che esprimere la mia vicinanza a Giuseppe Falcomatà, del quale in questi anni abbiamo conosciuto la dedizione al lavoro nell’interesse della sua comunità, che in un momento come questo si ritroverà senza guida politica e amministrativa») a Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro, per Ali, ossia Autonomie locali italiane, di cui proprio Falcomatà è leader regionale («Massima solidarietà e vicinanza al sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatá, e a tutta l’Amministrazione comunale, per la sentenza di condanna in primo grado per abuso d’ufficio»).
Tra le voci locali, oltre alla deputata dèm Enza Bruno Bossio, si distingue un avversario politico come Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro fresco d’ingresso nella Direzione nazionale di Coraggio Italia.
Abramo convinto che «Falcomatà saprà dimostrare la propria assoluta estraneità ai fatti che gli sono contestati e che gli sono costati la condanna, in primo grado, da cui deriverà anche la sospensione in base alla legge Severino. Pur sottolineando il profondo rispetto nell’operato della Magistratura, e senza voler esprimere giudizi in merito a quanto stabilito dal tribunale di Reggio, non posso non sottolineare la mia più profonda solidarietà, umana e politica, a Giuseppe. Lo conosco da anni – rammenta l’ex candidato alla guida della Regione – e, in virtù della collaborazione e della condivisione di idee e progetti che avevo con un gigante come il padre Italo, ho da decenni instaurato un fortissimo rapporto di amicizia con tutta la sua famiglia. Sono assolutamente sicuro che certe condotte non fanno parte del suo modo di essere, così come sono sicuro che darà battaglia in ogni altra sede possibile per ristabilire la verità e ritornare più forte di prima».
Peraltro, amministratori significativi come l’ex fondatore di “Magnolia” Gori evidenziano pesanti dubbi sull’attuale conformazione della “legge Severino”, che da tempo in modo trasversale si sta tentando di modificare. «Ingiusto e contro la Costituzione: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva», scrive ad esempio Gori.
Mentre Ricci si sofferma sul frangente che la “Severino”, «senza entrare merito con chiare indicazioni su condotte specifiche, impone già al primo grado di giudizio la sospensione dall’attività di 18 mesi per i sindaci, con grande danno – evidenzia il coordinatore nazionale dei sindaci del Partito democratico – anche per le comunità che questi amministrano. Una legge scritta male, che non rispetta il principio costituzionale della presunzione d’innocenza. È urgente più che mai un intervento del legislatore e una riforma radicale di questa legge sbagliata che non tutela né le istituzioni né i cittadini».
E solidarietà viene espressa pure dall’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, il cui direttivo calabrese s’è riunito ieri a Siderno per manifestare solidarietà al sindaco della città jonica Mariateresa Fragomeni, insieme all’auspicio che arrivi al più presto una «repentina rivisitazione della legge Severino, affinché siano garantiti i princìpi costituzionali». Apparirebbe infatti «improcrastinabile un intervento legislativo rispetto a un reato che è privo d’indicazione di condotte specifiche, risultando utilizzabile per qualsiasi condotta/atto amministrativo».
Questo, anche e soprattutto perché «l’abuso d’ufficio è un reato estremamente fumoso e privo di tipizzazione della condotta». Fermo restando che il break nell’esercizio delle prerogative d’amministratori colpiti da una mera condanna di primo grado, non definitiva cioè, «appare in palese contrasto coi princìpi costituzionali e comunitari relativi alla presunzione d’innocenza».
L’idea è d’imprimere un’accelerazione al dibattito già in corso circa la modifica della “Severino”.
Una questione che su scala locale aveva invece attanagliato il centrodestra quando a esserne colpito fu l’allora Governatore calabrese Peppe Scopelliti, dopo la pesante condanna subita nel “processo Fallara”.
Un centrodestra che – non per caso – su scala locale invece in molte espressioni s’è lasciato andare a esternazioni al limite della gioia per le conseguenze politiche della capitolazione giudiziaria di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”.
In àmbito calabrese, per ora fra le poche eccezioni c’è proprio Abramo che chiede al Governo, rispetto agli amministratori “lasciati soli” a fronte di una “Severino” considerata inadeguata: «Faccia qualcosa per difenderli».