L’aggressione ad un poliziotto messinese e la manifestazione davanti la Prefettura a sostegno della famiglia Cucchi hanno spinto la segretaria provinciale del Siulp, Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia, ad una serie di riflessioni. Isabella Marcelletti parte dalla considerazione che probabilmente l’intervento sia tardivo, ma sottolinea che quando si tratta di sicurezza e giustizia sia necessaria un po' di prudenza.
“Nell'ultima settimana abbiamo assistito a due fatti speculari. Domenica 9 novembre: l'aggressione ad un poliziotto il cui unico torto è stato quello di far rispettare (fuori dall'orario di servizio) le norme del codice della strada e la manifestazione a sostegno dei familiari di Stefano Cucchi, la cui verità processuale non è stata sufficiente a chiarire le cause del decesso, almeno secondo la famiglia medesima. Due vittime di Stato.
La prima, perchè lo Stato – nelle diverse Istituzioni che Lo rappresentano – non è stato ancora in grado di creare una cultura della legalità e, il piu' delle volte, lascia ai singoli destini la sorte dei suoi stessi servitori; la seconda, perchè nell'emettere una sentenza non si è reso apparentemente credibile.
Se da un lato, oggi, indossare una divisa sembra essere diventata una colpa, un bersaglio sul quale riversare frustrazioni, rabbia e violenza, dall'altro il cittadino è sempre piu' diffidente nei confronti di quelle Istituzioni create per tutelarlo.
Però lo Stato è ciascuno di noi. Come si scende, legittimamente, in piazza per rivendicare quando si ritiene di aver subito un torto, una ingiustizia, perchè, con altrettanta sensibilità non vengono adottati pari comportamenti sociali quando la vittima è un servitore di quello stesso Stato e dunque della collettività? Forse, perchè a causa di alcuni “eccezioni” deve pagare tutto il resto della categoria? Forse, perchè si ritiene che sia normale essere insultato, picchiato, ammazzato come se tutto ciò fosse un accessorio ineluttabile della divisa?
I due episodi non sono così lontani, nella loro essenza. Preoccupa il diverso approccio sociale e culturale. Allarma una reazione diversificata del consesso civile, solidale unicamente con una delle due vittime. Questa differenza di “trattamento” dovrebbe aiutarci a riflettere. I manifestanti, sabato scorso, hanno lanciato lo slogan “ad uccidere Stefano sono stato io”; sarebbe incoraggiante ascoltare lo stesso slogan anche a fronte di episodi contro gli uomini dello Stato, quegli stessi uomini che giustamente invochiamo ogniqualvolta ne abbiano bisogno e che cercano di prodigarsi a dispetto delle risorse di cui dispongono”.