Il Presidente della Regione appena eletto dichiarò che avrebbe abolito le provincie siciliane. In effetti l’Assemblea Regionale ha varato due leggi la n. 7 del marzo 2013 e la n.8 del marzo 2014. Ma è vero che le provincie sono state cancellate? NO. E’ stato tutto un bluff. Lo sostenni subito nel ricorso proposto per alcuni ex consiglieri provinciali al Commissario dello Stato. Infatti è stata semplicemente cambiata la denominazione, non più provincie regionali ma “liberi consorzi comunali” (come prevede l’art. 15 dello Statuto Siciliano), mentre di fatto sono stati soppressi gli organi politici elettivi (presidente, giunta e consiglio provinciale) sostituiti da commissari, nominati direttamente dal Presidente della Regione. I commissari hanno continuato ad esercitare le medesime competenze e funzioni delle provincie gestendo gli stessi servizi. Tutto ciò è stato spacciato come una soluzione taumaturgica, una panacea capace di risolvere i problemi di inefficienza, gli eccessi di spesa e di burocrazia che affliggono il sistema istituzionale. Invece è venuto fuori un vero parapiglia, dove è evidente l’incapacità di dare sostanza e contenuto alla riforma. Questa è oggi ricordata solo e soltanto per le proroghe e la girandola di commissari nominati. L’esperienza, insegna, invece, che l’esito di una riforma non dipende tanto dalla qualità astratta della formula istituzionale ma dalla sua capacità di aderire al dato reale. Pertanto, se l’obiettivo del legislatore nazionale e regionale è quello di contribuire (con l’abolizione dell’ente provincia) a porre un freno alla situazione di grave crisi economica ed emergenza finanziaria, allora bisognava partire dalla riforma del dato costituzionale art. 114 (in Sicilia art. 15 dello Statuto). Senza tale preliminare modifica, nessuna riforma soppressiva dell’ente è possibile attuare con legge ordinaria. Una volta modificato il dato costituzionale, sarebbe sufficiente trasferire, in modo meno farraginoso ma più lineare e razionale, tutte le competenze e funzioni delle provincie, ivi compreso il personale e le relative risorse finanziarie, agli altri enti territoriali superstiti (regione o comune). In tale contesto si potrebbe poi consentire ai comuni, che lo ritenessero opportuno o conveniente per sfruttare le economie di scala ed i vantaggi della gestione associata, di esercitare liberamente le nuove competenze attraverso le varie forme di esercizio condiviso. Ai complicatori tale soluzione appare sicuramente banale. Infatti, come si evince dal nuovo testo varato dal Governo regionale, sottoposto all’esame della Commissione affari istituzionali, si vuole di fatto adottare la legge Delrio, ovvero l’analogo bluff di livello nazionale. “La madre dei cretini è sempre incinta, diceva Flaiano. Anche la patria del diritto, però, farebbe bene a usare qualche pilloletta anticoncezionale perché le sue creature sono troppe, e ciascuna indossa l’ermellino di Sua Maestà la Legge” (Ainis).
Antonio Catalioto