L’anno nuovo è già arrivato.Al momento non si intravede nessuna trasformazione. Comincia il totonomine e/o il totocandidature. Vi è un orizzonte progettuale di fondo? Sarei tentato di allungare lo sguardo oltre lo steccato del centro destra. In diverse occasioni, ho auspicato formule trasversali della responsabilità del fare versus ogni epifania di anarcoide amenità sfascista.
Circoscriverò, tuttavia, la prospettiva di questa riflessione entro i confini della coalizione della Libertà. Quella stessa Libertà che – è bene rammentarlo – ha fatto da sfondo alla vittoria dell’on. Nello Musumeci e, al contempo, al risultato eccezionale di Luigi Genovese.
Berlusconi e Salvini – dicono – dovranno incontrarsi per discettare sul programma da presentare agli elettori. Mi domando se i coordinatori delle provincie e delle regioni del Sud stiano o meno richiedendo un preliminare confronto per rivendicare le ragioni del Mediterraneo e del Meridione. Ovviamente, non si tratta di questuare ma di segnalare che l’Italia senza il Mezzogiorno non è proprio un Bel Paese. Appena pochi anni fa il Presidente dell’Istat, lanciando un allarme, dichiarò che ”il Mezzogiorno è da molti anni assente dalle priorità di policy. … se non si recupera il Mezzogiorno alla dimensioni di crescita e di sviluppo … sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati rispetto agli altri Paesi».
In questi ultimi anni di crisi, il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud del Paese è aumentato. Il dato incontrovertibile è suggerito da 4 indicatori: Il Pil pro-capite; il tasso di occupazione; il tasso di disoccupazione; il rischio povertà o esclusione sociale. Si legge di attenzione necessitata da assegnare al lavoro e di protezione a fasce deboli da emancipare in dignità. Aria fritta. Senza investimenti sulle infrastrutture, senza incentivi al capitale di rischio delle intraprese, senza velocità nei tempi di soluzione delle controversie, senza plenipotenziari e diplomatici alla altezza della sfida di riaprire canali e mercati esteri, senza produzione di beni materiali e immateriali non si va da nessuna parte.
Se non si vuole pensare alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni l’interrogativo è il seguente: la ripresa economica deve passare necessariamente da una guerra più o meno civile? Siamo sicuri che i focolai che pensiamo di confinare in diverse regioni del pianeta prima o poi non saranno “appicciati” alle nostre latitudini? Abbassiamo il livello. Andiamo a noi (sic).
L’on. Miccichè, recentemente eletto alla Presidenza dell’Ars, è commissario del Partito in Sicilia e a Messina. Certamente o meglio probabilmente sta dialogando con i deputati appena eletti alle regionali e con gli esponenti che anche se non eletti non sono stati neppure bocciati. È sufficiente? Si leva un gran NO.
Personalmente, esprimo totale dissenso rispetto al silenzio su tutte le candidature che si vanno propinando sia per le politiche che per le amministrative che impegnano non solo solo una area partitica ma i territori e i collegi senza condivisione diffusa di proposta. Si tratta di metodo e di merito. Non si tratta ne’ di prova di forza tra pensiero e azione, tra chi conta e chi pensa, tra chi ha i voti e chi ha i rapporti, tra chi ha ambizione e chi ha discrezione, tra chi ha senso del limite e chi considera il senso un limite, tra chi resta impallinato tra veti incrociati e chi si pone alla finestra della giostra delle opportunità, tra chi si nasconde tra pieghe e piaghe delle quote rosa e chi si camuffa per connivenza o convenienza, tra chi è scopa nuova e chi usato sicuro. Si tratta solo di interpretare un ruolo.
A Messina, in Sicilia, in Italia il centro destra è chiamato al governo. Tutti coloro che pensano di giocare partite individuali – per me – sono out. Occorre r a p p r e s e n t a t i v i t a’.
In ogni caso il presidente Micciché (anche per gli impegni istituzionali che lo attendono) non può continuare a essere commissario in città e provincia di Messina. Questo penso. Questo non nascondo.
Emilio Fragale