Prima che la scadenza fosse prorogata al 30 settembre, il Consiglio Comunale avrebbe dovuto votare entro il 30 luglio le aliquote della TASI: si trattava, in sostanza, di decidere come impiegare i quasi dieci milioni di euro che i cittadini pagano per i servizi indivisibili (manutenzione strade e verde pubblico, illuminazione, mercati, etc…). La giunta ha approvato la delibera il 30 aprile: vi si trova una tabella con la proposta dell'esecutivo in merito alla distribuzione delle risorse su varie voci. Il consiglio comunale, l'organo che di fatto deve prendere la decisione finale, ha avuto dunque modo di iniziare a dibattere su questa proposta di tabella nell'arco di tre mesi.
La prima commissione bilancio in merito, invece, si è svolta pochi giorni fa.
Il 29 luglio il Consiglio era convocato alle 18,30. Non ci sono stati segnali di vita fino alle 19,30. Alle 19,30 si è aperto ma si è dovuto aggiornare ad un'ora per mancanza del numero legale.
Alcuni consiglieri si sono mossi di fretta e furia per avviare nella stanza adiacente una riunione. All'inizio mi era sembrata una cosa quasi normale, un momento di concertazione – come ne avvengono tanti – per arrivare in aula con una posizione il più possibile condivisa. Credevo che avremmo tentato di fare sintesi su due o tre proposte, intervenendo a modificare quelle due voci della tabella i cui fondi potevano essere reperiti da altre fonti. Di fatto, ciò che si è verificato è stato altro, e mi ha creato un forte disagio.
Alcuni hanno preso carta e penna e chiesto a ciascuno di esprimere, a giro, la propria proposta su un qualcosa da fare con i soldi della TASI. Era una situazione surreale: tutti concitati ma alcuni quasi euforici, per decidere le sorti di milioni di euro della collettività da collocare in meno di un'ora come in un gioco di società con le fiches.
Sono volate anche urla, perché ad alcuni consiglieri non andava bene che chi aveva preso 500 voti disponesse di somme uguali a chi di voti ne aveva preso mille (proponesse, in sostanza, un progetto di valore uguale, o addirittura superiore, a quello di altri colleghi più votati). Alla fine, una lista della spesa da presentare, sempre informalmente, all'assessore al bilancio, perché lavorasse per integrare la proposta della giunta con quella dei consiglieri: spostasse cioè soldi da una parte all'altra, per accontentare tutti.
Il Consiglio si è riaperto alle 20,40 ed è stato subito aggiornato al giorno dopo, per permettere all'assessore di “far quadrare i conti” aggiornando la tabella con le nuove proposte.
Quello che mi sembrava potesse essere un momento di elaborazione e sintesi si era tradotto in una giustapposizione di proposte, alcune delle quali potevo pure condividere, altre che mi sembravano fuori luogo.
L’episodio ha stimolato alcune riflessioni sul rapporto tra democrazia e trasparenza.
Non ho mai creduto che la politica si esaurisca nelle istituzioni, nient’affatto. Credo però che certe regole e certi settings vadano, soprattutto in certi casi, a tutela del dibattito democratico e trasparente. La politica cittadina ha luoghi istituzionali. I luoghi della rappresentanza si sono svuotati di significato non solo perché la delega non basta più a coprire le esigenze reali di partecipazione della cittadinanza, ma anche perché quelli che li abitano li svuotano e sviliscono essi stessi.
C'erano le commissioni e i consigli in cui tutto ciò poteva essere discusso e dibattuto: eppure, si è scelto un contesto informale, senza resocontisti, senza verbali, senza la possibilità per il cittadino di sapere cosa accadesse lì dentro, senza che di quei discorsi restasse traccia.
Se qualcuno avesse voluto – e io ho il timore che così sia stato – usare l’informalità di quel contesto e la libertà disorganica di quelle proposte per perseguire i propri interessi e curare i propri personali orticelli e bacini elettorali, tutto questo non è controllabile e dimostrabile: nessuna parola, in commissione e consiglio, luoghi ufficiali, resterà di tutte quelle che in questa e in altre infinite riunioni informali sono venute fuori.
Questo non è il palazzo di vetro che volevamo.
Non è questa, io credo, la mediazione che va fatta: se mediazione e sintesi ci dev'essere, dev'essere fatta tutta nella trasparenza, anche litigando, anche restando in aula fino a notte fonda. Per fortuna ci è dato un altro po’ di tempo: tempo per produrre sintesi reali ed organiche, e non elenchi di richieste; tempo per portare queste sintesi nei luoghi della trasparenza, assumendoci ciascuno la responsabilità delle nostre proposte.
I soldi dei messinesi non sono fiches e noi non siamo nessuno per scegliere nelle segrete stanze la sorte di essi.
Mi stupisce, peraltro, che a promuovere e avallare queste dinamiche siano gli stessi consiglieri che saltano in aria quando si parla di consulte o assemblee popolari, dicendo che la politica va fatta nei luoghi istituzionali. Noi che abbiamo un mandato, più di tutti gli altri dobbiamo agire alla luce del sole.
Mi auguro che in questo tempo in più che ci è dato la discussione si sposti nei contesti adatti: non può esistere democrazia senza trasparenza.
Ivana Risitano
Consigliera Comunale Cambiamo Messina dal Basso
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