“Il peggio deve ancora venire” ripeteva Lucrezia Reichlin nella sua Doctorate Lecture presso il nostro ateneo qualche settimana addietro, concludendo una lucida e brillante lezione sulle prospettive di crescita del nostro paese dopo la grande crisi del 2008. Anche per la nostra città il peggio potrebbe ancora arrivare. La lunga notte della recessione e gli effetti negativi della pesante congiuntura negativa degli ultimi anni potrebbero non essere finiti.
Che l’economia viva un momento di grande difficoltà lo confermano ancora una volta i dati del report del Dipartimento Comunale di Statistica, ma quello che mi preoccupa di più non è tanto il dato corrente quanto il persistere di alcune dinamiche che non lasciano ben sperare per il futuro. Sono preoccupato, per esempio, per l’alto numero di giovani studenti che, completato il percorso di studi della maturità, decidono di iscriversi nelle università del nord. E ciò non tanto perché la nostra università non sia in grado di sviluppare ricerca di indubbio valore scientifico e promuovere corsi di laurea innovativi e allineati alle esigenze del mercato del lavoro, ma soprattutto perché le prospettive di inserimento nel mercato del lavoro locale sono pessimistiche. Stiamo assistendo alla più grande fuga di capitale sociale a partire dal secondo dopoguerra.
Mi impensieriscono le decisioni di numerosi genitori, ormai in pensione, di vendere il proprio patrimonio immobiliare e lasciare la città per raggiungere i propri figli in altre parti del paese moltiplicando così gli effetti negativi sulla dinamica demografica. Mi allarma il pensiero dei numerosi posti di lavoro che questa lunga crisi ha bruciato riducendo le potenzialità di crescita della nostra economia. Questi posti non ci saranno più per i nostri giovani anche in presenza di una ripresa economica. Mi inquieta la leggerezza e la superficialità con le quali si discute del futuro delle poche aziende in crisi che impiegano centinaia di occupati. Pensate che la raffineria di Milazzo con i suoi 1000 occupati, tra occupazione diretta e indotta, distribuisce sul territorio quasi 40 milioni di euro l’anno; l’equivalente della quota che il patto per Messina destina all’intero comprensorio tirrenico ma con la differenza che il patto è una tantum mentre le aziende durano (si spera) nel tempo.
Mi allarma ancora la consistente perdita di valore della ricchezza e dei patrimoni immobiliari delle famiglie, gli enormi debiti che gravano sulle piccole imprese, gli ingenti risparmi accumulati dalla comunità nel tempo e prevalentemente dirottati in investimenti improduttivi che finiscono per alimentare le rendite finanziarie. Mi preoccupa tanto una politica che si limita a dare voce alla protesta, al disagio, che grida e ripete slogan che si fissano nella memoria di ciascuno di noi, inducendo ad un impietoso giudizio che non risparmia niente e nessuno, quanto una politica che si ripropone con i vecchi schemi e intende perseguire il potere al fine di accumulare più potere. Il futuro, comunque, è molto aperto, direbbe Karl Popper “e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani”.
Michele Limosani