La Raffineria non è solo “fumo”. Impiega 596 lavoratori e altrettanti nell’indotto

L’evento dello scorso 27 settembre ha destato scalpore ed accentuato ancora di più preoccupazione e sgomento tra gli abitanti di Milazzo e Comuni limitrofi verso quella che oggi può essere definita ‘’The Biggest Company’’ della Provincia di Messina.

Tralasciando ogni aspetto demagogico e prescindendo da quelle che possono essere le ripercussioni a livello ambientale (ambito non di mia competenza), quello su cui vorrei porre l’attenzione, essendo uno studente di economia, è l’impatto socio-economico che questa azienda genera sul territorio.

Non si può non essere d’accordo sul fatto che questa realtà crei ricchezza. L’importante è cercare di capire Come e Chi ne usufruisce. Prima di rendere noti alcuni dei dati socio-economici, mi sembra opportuno delineare un quadro d’insieme: la RAM (Raffineria di Milazzo) è una società consortile per azoni, il cui capitale è per metà posseduto da Eni S.p.A. e metà da Kuwait Petroleum Italia S.p.A.

La natura consortile di RAM porta la stessa a non avere come principale obiettivo la realizzazione di un utile, ma semplicemente l’ottenimento di un Valore economico aggiunto (Valore della produzione-Costi operativi) da distribuire tra i differenti stakeholders aziendali (dipendenti, finanziatori, pubblica amministrazione, ecc).

Sulla base dei dati del 2013, 42 milioni 98mila euro sono serviti per il pagamento di salari e stipendi, 4 milioni 958mila euro sono stati pagati alla Pubblica Amministrazione, 228mila euro sono stati erogati alla comunità.

A sottolineare l’attenzione di RAM verso le imprese del territorio, sono i 48 milioni 800mila di euro di fatturato realizzato dai fornitori RAM della Provincia di Messina.

Sul fronte occupazionale essa impiega oggi 596 unità dirette (altrettante nell’indotto), distribuite tra dirigenti, quadri, impiegati ed operai, di queste il 97% proviene dalla Provincia di Messina di cui il 50,8% sono di origine milazzese ed il 27,7% proviene dai Comuni limitrofi; solo il 2% degli occupati non ha origini siciliane. Quanto detto dimostra coma la RAM punti a valorizzare la forza lavoro locale. I contratti a tempo indeterminato sono pari al 97,5% del totale.

Nonostante il 2013 abbia visto un calo di materie prime lavorate, frutto della crisi in atto, la RAM non ha affatto diminuito il personale diretto e né i rapporti con le ditte terze dell’indotto.

Per evidenziare quanto detto sopra è utile, a mio parere, effettuare un confronto con un’altra realtà operante nello stesso settore, ad esempio la Raffineria di Gela.

Nonostante quest’ultima abbia una capacità di raffinazione superiore, presenta oggi alcuni gap rispetto a RAM. Sulla base dei dati riferiti all’anno 2012, la Raffineria di Gela ha ridotto la forza lavoro di 113 unità, diminuito i rapporti con le ditte dell’indotto e sono stati rilevati incidenti gravi sul lavoro pari a sei contro i tre anni festeggiati quest’anno da RAM senza infortuni.

Nonostante le numerose critiche mosse in materia di impatto ambientale e sicurezza, è indubbio che RAM svolge un ruolo di motore di sviluppo economico sul territorio, potendosi definire ciò che al giorno d’oggi viene comunemente detta ‘’Anchor firm’’.

Con quanto detto non intendo cancellare o sminuire l’accaduto: è chiaro che ci sono state o probabilmente ci saranno ripercussioni a livello ambientale, ma prima di trarre conclusioni azzardate, sarebbe opportuno considerare, prescindendo dal singolo evento, che RAM oggi genera per molti nostri concittadini la fonte principale di reddito un dato questo da non sottovalutare considerato il periodo di crisi che viviamo.

A mio avviso, tutto ciò che è stato detto in questi giorni da più parti attraverso i vari mass-media, su quanto accaduto, non deve ridursi a sterili critiche: non si può dire no a RAM senza avere progetti alternativi concreti.