Purtroppo l’uomo ha la memoria corta. Ancora di più i messinesi, che a distanza di ben 40 anni, dall’ultimo terremoto che ha colpito Messina, causando tanto panico ma pochi danni (e qualche vittima per malori), si sono già dimenticati di vivere nell’area a più alto rischio sismico del Mediterraneo e d’Europa. La presa di posizione del neo sindaco di Messina, Cateno De Luca, ha messo in evidenza un quadro davvero sconfortante visto che sono davvero pochi i plessi scolastici a norma antisismica, in una delle città classificata a maggior rischio d’Italia. Sul piano della prevenzione e della presa di coscienza da parte della popolazione, del tutto impreparata nel caso di un evento sismico oltre la soglia del danno (> 5,5 Richter), sembra che nulla sia cambiato negli ultimi decenni. Se si vorrà affrontare più concretamente il tema della prevenzione e della mitigazione sismica, al di là delle solite esercitazioni annuali, bisognerà cominciare ad investire parecchie risorse nell’ambito della vulnerabilità degli edifici strategici della città. Non si può certo stare con le mani in mano, adottando la tipica mentalità “fatalista” d’attesa all’evento, alla base dei recenti disastri che hanno interessato l’Italia centrale.
Eppure all’indomani della catastrofe del 1908 la città venne ricostruita con edifici non troppo alti, regolari in pianta e molto rigidi con strutture in cemento armato e pareti portanti in mattoni pieni. Strutture molto solide capaci di poter resistere a scosse della stessa intensità del sisma del 28 Dicembre del 1908. Tanto che Messina, assieme a San Francisco distrutta da un terribile sisma occorso nel 1906, furono le prime città al mondo ad essere ricostruite con il cemento armato, divenendo esempio per molte altre città d’Europa. Col passare dei decenni, con il venir meno della memoria di quell’evento e i continui cambi di normative, gli stessi edifici subirono delle trasformazioni, con la nascita di sopraelevazioni o l’abbattimento di pareti per ricavare maggiore spazio all’interno degli appartamenti, contribuendo a renderli più vulnerabili in caso di un sisma piuttosto intenso.
A ciò bisogna pure aggiungere le complicanze indotte dalla particolare litologia messinese. La città di Messina, cosi come la dirimpettaia Reggio Calabria, poggia su terreni alluvionali, costituiti prevalentemente in prevalenza da sabbie, limi, ghiaie e materiale argilloso. Nei tratti finali delle vallate dei monti Peloritani, lì dove scorrono le principali fiumare, i depositi alluvionali si collegano a quelli presenti lungo la linea di costa, formando cosi una sorta di piccola piana costiera che nei punti più ampi, nel cuore della città, raggiunge una ampiezza di appena 1 chilometro. Questi depositi alluvionali, dove sorgono i quartieri centrali della città di Messina, favoriscono una importante amplificazione delle onde sismiche sul terreno, rendendo il terremoto molto più intenso ed energetico. In genere, le onde sismiche, prodotte da un sisma di grande potenziale, quando incontrano dei terreni soffici, tipo i suoli alluvionali, tendono a rallentare la loro velocità di propagazione.
Tale rallentamento conduce necessariamente ad un effetto di compensazione energetica, la quale si traduce in un notevole aumento dell’ampiezza, ossia una maggiore accelerazione del terreno che dà luogo al cosiddetto fenomeno dell’amplificazione sismica. Ciò comporta un maggiore scuotimento del terreno che può produrre dei danni davvero significativi agli edifici sovrastanti, anche in presenza di un terremoto non particolarmente forte (magari con epicentro fuori dallo Stretto). Il fenomeno dell’amplificazione sismica spiega perché sullo Stretto anche i piccoli terremoti, con una magnitudo di 3.0-3.5 Richter, vengono distintamente avvertiti dalla popolazione, specie chi abita ai piani più alti degli edifici.
Daniele Ingemi