Ciao Viviana,
ho letto con estrema attenzione la lettera che hai scritto e alla quale è stato dedicato un doveroso spazio su questo quotidiano online, che ringrazio per l’ospitalità.
Potrebbe suonarti retorico, ma devo dirti che ho provato una sincera empatia mentre scorrevo il testo. Comprendo a pieno i sentimenti che ti hanno indotto a intervenire pubblicamente sulla mia candidatura. Sei riuscita davvero a trasmettermi il tuo stato d’animo. Forse ti sorprenderà, ma è una condizione che vivo costantemente, perché ho la fortuna di avere tanti amici che vivono le tue incertezze, il tuo risentimento, la tua indignazione. Giovani come noi. Spero solo che nessuna forma di pregiudizio possa indurti a pensare che uno studente della Luiss, uno che si chiama Luigi Genovese, non possa provare dei sentimenti puri.
Avrei voluto contattarti privatamente, scrivendoti un messaggio su Facebook, ma non sono riuscito a risalire al tuo profilo. Ecco la ragione che mi ha indotto a ripiegare sulla scelta di scriverti pubblicamente. Una scelta che voglio vivere come un’occasione per risponderti, a questo punto, in quanto rappresentante di una generazione alla quale mi sento profondamente legato per ragioni anagrafiche e ideologiche. Rispondo quindi a te e indirettamente a chi, al momento, nutre delle perplessità nei miei confronti.
Definisci “ipocrita” il mio aver affermato che mi sarei candidato anche se avessi portato un altro cognome. Cosa te lo fa escludere? Se il mio cognome fosse stato un altro, probabilmente la mia candidatura non avrebbe avuto questa risonanza: negare questo sarebbe stato certamente un atto d’ipocrisia. Però ci tengo a sottolineare un aspetto che in molti non conoscono: io amo la politica, una passione che ho chiaramente ereditato dalla mia famiglia, una dimensione nella quale mi sono impegnato attivamente in tempi non sospetti, quando frequentavo il liceo. Un momento fondamentale della mia vita, durante il quale ho capito che l’impegno attivo sarebbe stato un paradigma irrinunciabile nel mio cammino futuro. Una scelta sulla quale, senza tema di smentita, nessuna forma di “induzione esterna” avrebbe potuto esercitare il ben che minimo influsso su di me. Il fatto che il mio cognome fosse Genovese, a scuola, era più o meno un dettaglio irrilevante.
Ti dico questo per ribadire un concetto: ho deciso di proseguire un percorso, l’ho fatto perché in questo percorso credo fermamente. Questo percorso l’ho scelto. E se il mio cognome fosse stato un altro? Me lo hai chiesto, e come sai non sei la sola ad averlo fatto. Io mi chiamo Luigi, il mio cognome è Genovese, e con questo nome e con questo cognome ho deciso di mettermi in gioco. Permettimi di sottolineare un aspetto: il vizio originario si nasconde dietro la stessa domanda “Ti saresti candidato anche senza questo cognome?” Una domanda che, onestamente, faccio fatica a comprendere. Perché? Semplice: sto solo vivendo, come tutti, la vita che mi è stata donata. Con questo nome e con questo cognome. Ribalto il quesito: perché, invece, sei indotta a pensare che io non possa candidarmi? Per il cognome che porto? E non è, questa, una forma di pregiudizio?
Mi sono candidato cosciente di andare incontro a tutto questo. Certo, anche alle perplessità di molti. Non credere che alcune esternazioni sul mio conto mi abbiano lasciato indifferente, tutt’altro. Ma avevo previsto tutto: è normale, forse ovvio. Nonostante ciò, nonostante fossi pienamente consapevole di ciò a cui sarei andato incontro, non ho mai pensato di tirarmi indietro, perché forse un giorno questo coraggio verrà apprezzato trasversalmente, quando magari avrò l’opportunità di essere davvero utile alla Cosa Pubblica.
Premesso che non posso essere colpevolizzato in alcun modo per il fatto di frequentare un’università privata, mi sono chiesto e ti chiedo: cosa ti fa credere che uno che si chiama Luigi Genovese non possa essere indignato per il momento storico che stiamo attraversando? Ribadisco ciò che ho già affermato durante la presentazione della mia candidatura: la politica regionale, negli ultimi anni, non è stata in grado di fornire risposte adeguate. Lo credo, lo affermo, lo rivendico. Cosa dovrebbe vietarmelo? Il fatto che il presidente Crocetta sia stato eletto “anche grazie ai voti di Francantonio Genovese”, mio padre, non è una valida ragione. E non è una valida ragione per due motivi: io sono Luigi, ho 21 anni e all’ultime consultazioni regionali non avevo ancora acquisito il diritto al voto. Quindi formalmente il sottoscritto non ha sostenuto nessuno, semplicemente perché il momento per poterlo fare non era ancora arrivato. Io però amo la chiarezza. Ed è per questo che provo ad anticipare una tua ipotetica domanda, sempre per rimanere nel campo delle ipotesi, dei “se” e dei “ma” a cui in molti si sono affezionati in questi giorni: e se lo avessi già acquisito, quel diritto al voto? È probabile che in quel momento avrei sostenuto Crocetta. Come ha fatto mio padre, che nell’attuale presidente ha creduto, almeno fino ad un certo punto. Ed è proprio per questo che lo scenario politico emerso successivamente ha moltiplicato la mia personale delusione rispetto a un profilo in cui avevo riposto le mie speranze. Non è questione di incoerenza. Succede nella vita, succede in politica: non sempre vengono attese le aspettative, e quando questo accade è giusto, anzi doveroso voltare pagina. Quel momento è arrivato.
Sostieni che dovrei provare a fare altro, in ossequio ad una non meglio esplicitata logica che dovrebbe impedirmi, in automatico, di impegnarmi nella politica. Dovrei provare a fare altro? E perché? Perché dovrei? Per il cognome che porto? Non credi, Viviana, che questa sia una forma di pregiudizio?
Comprendo eccome “quelli che scappano” dalla Sicilia, ma ritengo doveroso affermare che questa fuga vada arginata con i fatti e non con la vuota retorica. Ho detto che ogni giovane che va via è un pezzo di Sicilia che muore. Lo credo fermamente.
No, non penso che la mia candidatura sia, come sostieni, “un insulto ai giovani”. È proprio ai giovani che vorrei destinare gran parte del mio impegno. È proprio ai giovani che dico: è arrivato il momento di farci avanti. Ed è proprio ai giovani che ho rivolto una serie di passaggi del mio discorso di presentazione. È a loro che ho detto che delegare può essere utile, ma spesso può rivelarsi deleterio. È ai giovani che ho dedicato la frase “in politica è sempre troppo tardi per abbandonare, ma non è mai troppo presto per iniziare”. È anche a te che mi rivolgevo, Viviana, quando esprimevo tutto questo, o anche quando sottolineavo la necessità di un impegno attivo che superi qualunque preconcetto legato all’anagrafe. Mi rivolgevo anche a te, quando evidenziavo che solo i giovani possono intercettare pienamente le esigenze delle nuove generazioni.
Viviana, ho ammirato il tuo coraggio, al di là di alcuni contenuti esplicitati. Almeno in parte, alcuni concetti che hai espresso sono evidentemente legati a una forma quasi istintiva di pregiudizio. Ma non posso e non voglio fartene una colpa, ci mancherebbe. Adesso non mi resta che chiederti di passare a trovarmi al “Lab”, in Viale San Martino n°4. </strong
Ti aspetto in questi giorni, o se preferisci dopo il voto del 5 novembre. Chissà che le tue idee non possano insieme alle mie divenire proposta. Di certo, forse per la prima volta, troverai qualcuno disposto realmente ad ascoltarti e a comprenderti. Nonostante tutto, nonostante si chiami Luigi Genovese.