teatro

Sabina Guzzanti e Tirabassi spiazzano il pubblico del Vittorio Emanuele

MESSINA – Da martedì scorso, con replica mercoledì e giovedì, è in scena presso il Teatro “Vittorio Emanuele” di Messina lo spettacolo “Le verdi colline dell’Africa” nel testo di Sabina Guzzanti, con sua regia, e co-interpretato dalla stessa artista e da Giorgio Tirabassi,

Si tratta di un titolo totalmente ingannevole, come del resto la locandina, ove i due protagonisti sono raffigurati in abiti coloniali, quasi a rievocare il film di John Huston “La regina d’Africa”. Lo spettacolo è, invero, ispirato piuttosto ad un’altra pièce teatrale, “Insulti al pubblico”, di Peter Handke, del 1966, un dramma da Teatro dell’assurdo, spiazzante e dissacrante ed è nel similare solco dello script originario, che si è inteso omaggiare, che si è dipanata la densa rielaborazione ideata dalla Guzzanti. Se l’idea non appare di certo innovativa, id est quella della frattura fra attori sul palco e spettatori, la sua incandescente messa in opera ha condotto a pregevoli risvolti, portando all’estremo il non-contenuto, per mettere il focus sulla figura attoriale, sul difficile mestiere di vivere il palcoscenico inscenando vite altre e dovendole poi dismettere. E, in ogni caso, neanche fra gli interpreti, si è voluto significare, sussiste uniformità di vedute, come magistralmente esternato dai due protagonisti della performance, portatori di una differente concezione del ruolo stesso.

“Le verdi colline dell’Africa”: prove (riuscite) di metateatro che avviluppa le menti

E così la serata, per circa una ottantina di minuti, senza intervallo, è scivolata via, inducendo giuste riflessioni nel numeroso pubblico della prima messinese, che non si è sicuramente voluto intrattenere e divertire, stimolando al contrario anche dibattiti postumi sul senso stesso della rappresentazione.

In primis, ha spiazzato  la natura stessa della “mise-en-scène”, in tournée nazionale, ove la feroce satira di ascendenze guzzantiane ha lasciato il posto ad altro genere di confronto con gli astanti, più sottilmente perturbante, dandosi vita alla pubblica costruzione di uno spettacolo, con la ratio, segnatamente, di stigmatizzare i prodotti preconfezionati offerti in pasto a  spettatori passivi, che tutto inglobano, con gli interpreti chiamati a recitare quali automi  un testo sovente privo dei chiaroscuri esistenziali.

Riflessioni ad alta voce, dunque di Sabrina Guzzanti e Giorgio Tirabassi, sul pensiero censurato, che non gode di margini di libertà, con connessioni che si vanno estendendo a ogni campo, incluso quello delle arti performative. Una pausa – che non risulta essere davvero tale se solo si indaga sui messaggi sottesi della pièce – per Sabrina Guzzanti, dalle partecipazioni a talk show televisivi e lungometraggi a tema di critica politica ed etico-civile  sugli oscuri  e vischiosi accadimenti del nostro Paese, pronta, come ci auguriamo sia,  a proiettare la sua capacità di intercettare e restituire, in un campo largo, i tremendi ,anzi ferali, “vulnera” ad una autentica democraticità del contesto internazionale, che mette oramai in bella vista solo omuncoli con il loro gregge di gregari, che, incuranti di essersi oramai pericolosamente avvicinati al punto di non ritorno, ripercorrono quotidianamente il canovaccio di una amara recita del finto politicamente corretto, inconsapevoli di star trascinando il mondo nel baratro.

Guzzanti e Tirabassi disorientano (per fortuna) gli spettatori

Le scene, assolutamente essenziali, con oggetti funzionali ad un generale contesto teatrale, unitamente alla naturalezza, nei rispettivi ruoli di teatranti, dei due protagonisti, squisitamente espressione, anche nel disinvolto abbigliamento, di spontaneità, soprattutto nella interazione con le voci registrate, che hanno costituito un sapiente contraltare alla passività che si pretende, invece, dal pubblico.

In conclusione, una valutazione a ragione positiva della performance, pur se si dà atto che la stessa, già in cartellone per la programmazione 2023-2024 del Teatro V.E. per il mese di marzo, e poi rimandata, si sia posta in evidente rottura rispetto alla quasi generalità delle opere teatrali proposte, e per fortuna, si aggiunge, anche se ciò ha creato un certo disorientamento nello spettatore avvezzo a ritrovare un diverso target nelle stagioni via via fin qui messe a punto. Ben venga una rottura dei cliché, che esistono per potersi violare.