Un loquace Caronte che parla in messinese descrive il suo lavoro e gli inferi, lamentandosi del perché deve pagare il bollo, se tanto traghetta dei corpi che sono già morti. Nessun vivente è mai sceso nell’Ade. Anzi, uno sì: Orfeo, che con una canzone di Battiato ha convinto “il principale”, il signore degli inferi, a riportare in vita Euridice, a patto di non voltarsi prima dell’uscita. Ma Orfeo, si sa, si è voltato.
Giacomo (Giacomo Ferraù) e Giulia (Giulia Viana) si incontrano in Sicilia e si innamorano. Dopo quattro anni sono sposati e, all’improvviso, cala un velo sulla loro vita: un loro amico ha avuto un incidente ed è entrato in stato vegetativo. Giulia si fa promettere che, qualora capitasse a lei, Giacomo dovrà far staccare la spina, perché “quella non è una vita vera”.
La fatalità vuole che Giacomo si trovi a dover mantenere questa promessa, perché Giulia ha un grave incidente con la macchina. Così Giulia diventa Euridice; Giacomo, nel reparto di terapia intensiva, accanto al corpo in coma di Giulia, diventa Orfeo.
Il corpo non reagisce, non c’è alcuna attività cognitiva, ma dall’interno di quell’involucro che è il corpo, l’anima parla, Euridice parla. Forse il cuore è più forte, anche se pompa sangue solo grazie a delle macchine. Euridice rammenta ad Orfeo la sua promessa, e passa, dopo anni, dal coma allo stato vegetativo, una specie di limbo, che permette ai familiari, ai dottori, ai legali, di appellarsi ad un’idea di sopravvivenza, di speranza.
Orfeo allora comincia a combattere: “Permettere di morire non è ammazzare!”. Intanto passano gli anni, sul volto appaiono le rughe e i capelli diventano bianchi. Passano diciassette anni e finalmente gli è concesso di staccare la spina.
“Di te diranno che mi hai uccisa!” dice Euridice, e Orfeo risponde: “Di te diranno che potevi ancora avere figli!” . Una folla, fuori dall’ospedale, si divide tra chi accusa Orfeo di omicidio e chi invece lo assolve; ma come si può giudicare? “Cosa ne sapete voi delle promesse che ci eravamo fatti?” Come si può giudicare l’amore, l’amore per la vita, che non sarebbe mai potuto diventare necrofilia, l’amore per un corpo che ormai ha oltrepassato il limbo.
Ferraù e Viana non sono semplicemente Orfeo ed Euridice, entrambi coprono più personaggi, attraverso scambi di abiti e di luci. Ci hanno regalato un’opera commovente e poetica, e sottolineo regalato perché sono riusciti a toccare le corde più sensibili dell’animo degli spettatori, per una storia che va al di là del mito e della sorte di Eluana Englaro, alla quale si sono ispirati.
“La mia è una lettura in chiave moderna. I due sposi si chiamano Giacomo e Giulia (come gli attori) per sottolineare come a chiunque di noi possa capitare la tragedia di ritrovarsi di fronte a una persona cara “sospesa” tra la vita e la morte, in quel non-luogo che angoscia e spaura”.
La replica sarà stasera, 24 maggio, alla Sala Laudamo alle ore 19.
Lavinia Consolato