“Una notte feci un sogno. C’era mio padre tornato in vita che mi portava in giro sulle spalle. Io ero piccolo, un bambino di cinque o sei anni. « Salta su », mi diceva, e prendendomi per le mani mi faceva volteggiare sopra le sue spalle. Stavo lì bello alto, ma non avevo paura. Lui mi reggeva forte. Ci reggevamo forte l’uno con l’altro. Poi lui si incamminava lungo il marciapiede, allora io lasciavo la presa sulle spalle e gli mettevo le mani attorno alla fronte. «Non mi spettinare » diceva, « ti tengo io. Non caschi mica.» Appena mi diceva così io mi rendevo conto che mi teneva forte con le mani attorno alle caviglie. E allora lasciavo la presa. Mi scioglievo e allungavo le braccia in fuori, restando così per tenermi in equilibrio. Mio padre continuava a camminare mentre io cavalcavo sulle sue spalle. Facevo finta che lui fosse un elefante. *”
Il secondo appuntamento con il laboratorio teatrale “Nel Paese dei Balocchi”, “Solitudine” per la regia di Annibale Pavone ha il respiro di una delle pagine più belle di Raymond Carver, “Elefante”, lirica apologia della nobile solitudine a cui è destinato ogni padre.
Lo spettacolo si propone al pubblico – numeroso e complice – in tutta la sua chiassosa varietà, compiendo in pieno quello che è il senso più alto del progetto “Laudamo in città”: rendere il Teatro materia viva e dinamica, una creatura indipendente che cresca e si muova tra le strade della città, nelle voci diverse dei suoi ragazzi.
Giuseppina Borghese
* citazione tratta da “Elefante” di Raymond Carver, edizione Meridiani Mondadori, 2005, traduzione di Riccardo Duranti, pag. 943