Nella seconda tappa della mostra Sant’Antonio nella devozione popolare nel programma In Cammino con Sant’Antonio peregrinando lungo l’Italia dalla Sicilia a Padova, si aggiunge un reperto di non breve interesse proprio in quanto collegato al “peregrinare” sotto l’egida del santo padovano. È stata ritrovata infatti una tavoletta raffigurante il santo con Gesù Bambino in braccio entro cornice floreale scolpita ad altorilievo sul cui retro riporta incisa una curiosa iscrizione; “Ricordo di Zonderwater”, e le iniziali Z.E., lo scultore. Nel contempo in mostra è presente una cartolina illustrata propagandistica edita dall’Istituto Antoniano di Messina in occasione della partenza dal porto peloritano dei legionarî che nel 1935 si avviavano alla conquista dell’Abissinia. Nella cartolina è raffigurata in basso una schiera di legionarî con bandiere italiane su cui vigila l’icona protettrice di Sant’Antonio.
Già una volta il Regno d’Italia aveva tentato d’invadere l’Impero d’Etiopia (detta per sineddoche Abissinia, la nazione costituente più avanzata), ma aveva fallito miseramente. Era l’epoca della politica di potenza e del colonialismo, e conquistare un impero avrebbe garantito al Re il titolo d’Imperatore, come più avanti avvenne. Sotto l’impulso di Benito Mussolini, infatti, la nuova campagna ebbe successo.
La presenza del santo in un’immagine propagandistica relativa alla conquista dell’impero nasce dal fatto che Sant’Antonio all’inizio della sua carriera ecclesiastica si recò appunto in Africa nel tentativo di convertire quelle popolazioni.
Antonio di Padova, al secolo Fernando de Bulhões, monaco lisboneta, si era recato in missione religiosa in Marocco dopo essere stato folgorato dalla notizia del martirio di cinque frati francescani in quel paese, ma una malattia della zona lo costrinse ad abbandonare il suo proposito e rientrare.
Ritornando all’icona lignea di cui abbiamo detto, Zonderwater fu un campo di concentramento organizzato dagli Inglesi in cui vennero raccolti oltre centomila prigionieri di guerra italiani.
Zonderwater si trovava molto lontano dal luogo della cattura e ancora più lontano dal luogo d’origine del nostro scultore: in Sudafrica, nella vecchia Provincia del Transvaal. Una regione ricchissima grazie alle miniere d’oro e diamanti e nient’affatto arida, ove si possono trovare verdi colline e campi coltivati in un fresco clima subtropicale. Essa era stata territorio degli Nguni, occupata solamente nell’Ottocento dai Boeri (i coloni olandesi) in fuga dalla conquista britannica della Colonia del Capo a sud, e infine annessa anch’essa all’Impero Britannico all’inizio del Novecento.
Possiamo presumere che il prigioniero Z.E., partito da Messina per l’impresa africana sotto la protezione del nostro santo fu preso prigioniero nel 1941 con la resa delle truppe italiane in Africa Orientale e durante la prigionia in Sudafrica realizzò la scultura che portò con sé quando, finita la guerra, ritornò a Messina. I prigionieri di Zonderwater furono liberati solo nel 1947, in quanto molti erano ferventi fascisti.
La tavoletta lignea reca in sé tutti i segni della travagliata quanto straordinaria esperienza di Z.E.: fu scolpita nella scuola d’intaglio presente nel campo britannico, quasi certamente in un legno sudafricano che risulta simile al castagno, colorata infine con la tipica vernice bruna dell’Esercito Britannico.
Quindi un peregrinare umano e iconografico tra il nostro messinese e l’icona protettrice di Sant’Antonio, oggi esposta in mostra (attualmente presso il museo della Basilica di Sant’Antonio di Messina), attraverso la quale è stato possibile ricostruire una vicenda umana che vede un percorso di decine di migliaia di chilometri fatto sotto l’egida del nostro santo protettore non a caso nel proposto cammino di Sant’Antonio da Milazzo a Padova.
La scelta di Milazzo come punto di partenza ha una ragione rintracciabile nella vita del Santo: quando Antonio ritornò dal suo viaggio missionario, naufragò in Sicilia e trovò riparo a Milazzo, da dove poi partì per raggiungere il capitolo generale dei Francescani, ai quali si sarebbe unito conoscendo finalmente San Francesco d’Assisi.
Scritto in collaborazione con Franz Riccobono (paragrafi riportati in corsivo).
Daniele Ferrara