MESSINA – Meritorio adattamento ad opera di Antonio Lo Presti, che ha altresì firmato la apprezzabile regia dell’’opera pirandelliana “Se vi pare”, riandata in scena con successo il 29 settembre presso la cavea dell’Orto Botanico messinese, con i Filodrammatici della scuola cittadina di teatro e musica “Vaudeville”.
La rappresentazione ha reso dignitosamente l’atmosfera della celeberrima opera di Luigi Pirandello, “Così è (se vi pare)”, pur se trasponendone il contesto in tempi a noi più prossimi, presumibilmente intorno agli anni 60’.
Performance riuscita, nella dimensione corale del clima salottiero, quello delle chiacchiere e dei pettegolezzi, dei ricevimenti che connotavano e scandivano i pomeriggi e le serate della borghesia (di ogni ordine e grado) anche in Sicilia.
La scenografia, davvero minimalista, ha fatto riferimento a tale ambientazione, con specifico riguardo alla dimora della signora Amalia (maritata ad un alto esponente dell’amministrazione prefettizia, che non compare mai in scena) ove il fratello, tal sig. Laudisi, si è stagliato con una levatura ben superiore alla media mediocrità (impersonando il pensiero dell’Autore, che se la ride, pur se amaramente, del morboso interesse suscitato nel frivolo gruppo di signore in visita alla sorella su una vicenda cittadina piuttosto oscura).
Un telefono di colorazione verde, presente nelle case degli italiani dagli anni 60’ in avanti, in uno ai costumi dei personaggi, ha suggerito a grandi linee l’epoca di riferimento della piece.
La Sig.ra Frola e il Sig. Ponza, suocera e genero, si sono alternati nel presenziare nella casa, pur se, quasi sul finale, sono stati entrambi in scena contemporaneamente, insieme alla donna del mistero (che difatti è stata in rappresentazione con il volto coperto da un velo nero) che, della prima parrebbe essere figlia, e, del secondo, moglie.
La particolare condizione di “reclusa”, confinata in un appartamento a cui solo il marito può avere accesso, con impossibilità financo di potere incontrare la anziana madre, che conduce la propria esistenza solitaria, e può vederla e parlarle solo da lontano, recandosi a fatica sotto le sue finestre, ha generato sconcerto nella cittadina ove i tre si sono trasferiti a cagione del devastante sisma della Marsica, che aveva provocato morti e distruzione di edifici e archivi.
Tra presunte ricostruzioni miseramente smentite da interpretazioni di accadimenti immediatamente successivi, con le perfide donnette che sembrano indirizzate a non credere alla versione del Sig. Ponza, ritenendolo pazzo, o quanto meno oltremodo egoista – come vorrebbe il racconto edulcorato della suocera, la Signora Frola, che, pur intravedendo in quell’amore assolutista di certo qualcosa di anomalo, per amore della figliuola Lina, accetta quelle umilianti condizioni – e la figura prefettizia, di sesso femminile, con connessioni ai nostri tempi più recenti, che d’autorità si impone per carpire il mistero del suo Segretario, il Sig. Ponza, mostrandosi invece dalla sua parte – e reputando esser divenuta folle la Signora Frola per la morte della prima moglie dello stesso, talchè per misericordia la si deve assecondare nella convinzione che la seconda consorte (Giulia) sia invece la defunta figlia – l’unica che potrebbe disvelare la verità, infine, pronuncia le arcinote parole – “Io sono colei che mi si crede” – a testimoniare l’impossibilità di addivenire alla ricostruzione di una verità valevole per tutti e non relativistica.
È rispettata la drammaturgia pirandelliana, (qui ridotta all’osso), che ha avuto la prima rappresentazione nel 1917, con intitolazione “Se non così”, con focus su un salotto provincial- borghese dei primi decenni del secolo breve. Lo script ha avuto quale derivazione la novella dello stesso Pirandello “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”.
Trattasi di una Commedia in tre atti, fra i più spregiudicati lavori pirandelliani, originale e audace, “una gran diavoleria”, per dirla con il Suo Autore, una parabola sul valore della realtà, sul confine davvero labile fra follia e saggezza….ove una comunità assai pettegola entra in crisi per non riuscire a definire in modo univoco il rapporto che lega i tre nuovi arrivati nella piccola cittadina. La vita è complessa e tale dramma è inscenato per lo spettatore perché giunga a cogliere da solo che la verità non esiste….e ciò attraverso il personaggio di Laudisi, che si fa mediatore fra la scena e il pubblico. Non c’è verità che possa dare sicurezza al piccolo mondo di beghine e pettegoli, in questa rappresentazione della vacuità e del mistero grandioso dell’esistenza umana.
Si criticano le sicurezze preconfezionate, che evidenziano un dissidio profondo fra verità e realtà. Il sig. Ponza e la Sig.ra Frola, reduci e impegnati nella ricostruzione di un possibile nuovo senso dell’esistere, con le loro fluttuanti verità e incerte identità, con lo spaesamento di chi arriva da un luogo in rovina, con la loro morbida ricerca di un equilibrio esistenziale, appaiono assai folli a chi non è mai incappato in quel voto sotto i piedi.
La morale ipocrita della ristretta cerchia, rappresentativa di un comune modo di essere della categoria piccolo borghese stessa, l’espressione votata all’essere benpensanti e morbosamente giudicanti, coglie nel segno quale istantanea di un salotto di provincia dei tempi andati.
Nella tranquilla oasi verde dell’Hortus di antiche ascendenze (di paternità di Pietro Castelli) una lodevole prova attoriale, che ha riunito ben 12 interpreti, che mi pregio di riportare in ordine alfabetico, tutti ben calati nei rispettivi ruoli, ove la coralità dell’ambientazione non ha escluso la caratterizzazione e lo scandaglio dei personaggi stessi: Anna Maria Biondi, Michele Bonaiuto, Danila Castiglione, Enzo Ciacchella, Anna Francica, Simona La Fauci, Maria Cecilia Laganà, Dina Maiolo, Corinna Marino, Loredana Palmieri, Giusi Piccione e Stelio Rasà.
Tutti diretti con sobria diligenza da Antonio Lo Presti e che hanno incassato il ripetuto plauso dagli spettatori, che, fruendo di tutti gli ottanta posti a disposizione nella cavea, ancora una volta, hanno espresso convinto gradimento. Si può dunque con convinzione asserire che questa tipologia di spettacolo vada reiterata, essendo di qualità e incontrando il favore della città, da cui promana siffatta domanda culturale performativa.