L'alluvione di due anni prima, gli effetti disastrosi che soltanto per fortuna non contemplarono morti, avrebbero dovuto far prevedere una catastrofe, più che probabile alle prime piogge torrenziali. In caso di emergenza, poi, i piani di protezione civile comunale non possono rimanere nei cassetti, ma devono essere applicati con tempestività dai sindaci. I primi cittadini devono dare gli allarmi necessari, mettere in moto la macchina della protezione civile, chiudere strade ed evacuare i centri a rischio. Ecco perché, in estrema sintesi, il giudice monocratico Massimiliano Micali lo scorso 27 aprile ha condannato soltanto due imputati per i 37 morti e la devastazione tra Giampilieri e Scaletta, il 1 ottobre 2009: ossia il sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, ed il primo cittadino di Scaletta, Mario Briguglio.
Due condanne pesanti, e una pioggia di assoluzioni, che hanno comunque salvato le provvisionali e le richieste risarcitorie, da definire in sede civile, per i parenti delle vittime e gli sfollati. Sono state depositate qualche giorno fa le motivazioni del verdetto emesso da Micali ad aprile scorso, poco più di 200 pagine per spiegare perché le responsabilità penali sono rintracciabili soltanto in capo ai due primi cittadini. Innanzitutto perché non ascoltarono alcuni allarmi, a cominciare dalle tante segnalazioni giunte ai centralini, di gente in pericolo.
Poi perché non evacuarono i centri a rischio. Centri dove – Micali lo spiega chiaramente – un disastro doveva essere previsto, visto lo scempio degli analoghi eventi di due anni prima. Quello, scrive il giudice, è il primo segnale inascoltato dagli amministratori. Ancora, Micali li ritiene colpevoli per non aver chiuso le strade delle zone, come invece fece il CAS che vietò la A18 Messina-Palermo per un lungo tratto, non appena le prime avvisaglie della frana finirono sulla corsia. Sono due condanne per "inattività", insomma, quelle di Buzzanca e Briguglio.
Un altro passaggio importante della sentenza di Micali riguarda le molte assoluzioni, che destarono parecchio clamore, ad aprile. Micali fa leva ancora una volta sulla perseguibilità penale delle condotte additate dalla Procura. Fuor di termini giuridici, cosa è reato penale e cosa no. E per configurare il reato penale, in questo caso, è necessario prima individuare esattamente il nesso di causa-effetto tra ciò che gli imputati avrebbero fatto, o non fatto, e le conseguenze specifiche delle loro azioni o inazioni. Nel caso degli altri imputati, secondo Micali, questa causa-effetto non integra il reato penale: non si possono imputare al capo della Protezione Civile regionale, Salvatore Cocina, i 37 morti, ad esempio, se hanno più a che vedere con tutto ciò che nei due anni precedenti non è stato fatto, ad esempio, o col fatto che, se evacuati per tempo, moltissimi residenti avrebbero potuto salvarsi.
APPROFONDIMENTI:
Alessandra Serio