Franco Maresco resta fedele alla sua Palermo, raccontando la vita e il teatro di Franco Scaldati, uno dei più importanti rappresentanti del teatro del dopoguerra, che è venuto a mancare nel 2013.
“Palermo è uno dei luoghi più vicini all’abisso”, e da questa Palermo, da questo abisso, nasce un teatro impegnato, un teatro nuovo per contrapporsi alla capitale del crimine organizzato, in un dialetto quasi dimenticato, quello degli emarginati, dei quartieri della miseria, di una periferia, potremmo dire, pasoliniana. Franco Scaldati, chiamato il “sarto” di Palermo per via del suo primo lavoro, è l’artefice di questo teatro assolutamente poetico e disperato.
Il suo lavoro drammaturgico comincia in seguito all’incontro con l’attore Melino Imparato, nel 1968, con “Attore con la o chiusa (per sempre)”, e a seguire “Il pozzo dei pazzi”, considerato il suo capolavoro. Sin da subito accomunato a Beckett, per i dialoghi e i personaggi al limite della follia, se ne distacca perché Scaldati non accoglie fino alla fine il pessimismo beckettiano, mantiene un percorso verso il divino: “Io credo, credo a tutto: sono uno scemo”, c’è una possibile salvezza, al di là della disperazione.
Col passare dei decenni, Palermo è sempre più in mano alla criminalità e alla “borghesia nata dal nulla”, e in questo contesto “Il teatro di Scaldati è esempio di resistenza alla barbarie che avanza”. Il pubblico non comprende perché, proprio in anni così difficili, Scaldati scriva la storia di un uomo innamorato della Luna: “Lucio”. Ma è proprio quando si aprono le voragini dell’inferno, come la voragine creata dalla bomba che nel 1992 aprì una ferita ancora non sanata, si deve ricordare al mondo che c’è una bellezza per la quale val la pena di salvare il mondo.
Citando Franco Scaldati: “La bellezza è negli sconfitti. Il futuro non è dei vincitori, è di chi ha la capacità di vivere, di essere totalmente se stesso, è inevitabilmente sconfitto. È qui il seme che crea e si traduce in futuro, vita: una sconfitta di straordinaria bellezza. Le facce degli sconfitti, le loro voci, continuano ad esistere. Sono i vincitori che non esisteranno più. Questo è il grande splendore dell’esistenza”.
“Gli uomini di questa città io non li conosco” si può considerare il gemello del capolavoro cinico “Belluscone, una storia siciliana”, del 2014, anche se con un tratto più documentaristico e biografico, con numerose interviste a registi e attori che conobbero Scaldati, come Emma Dante, Roberto Andò e il puparo Mimmo Cuticchio.
Il film affronta tutta la vita lavorativa di Scaldati, vita che, col passare degli anni, divenne sempre più difficile ma portò all’incontro con Franco Maresco e Ciprì ai tempi di “Cinico TV”, nata nel 1994, quando Palermo venne inondata dalla volgarità della televisione di Berlusconi, che anche qui fa capolino, come fosse una seconda piaga dopo la prima del ’92.
Il tema impegnato, pur con grande pessimismo, non abbandona mai Maresco, che, insieme a Ciprì, diresse nel 1998 il pasoliniano “Totò che visse due volte”, opera in bianco e nero.
Lavinia Consolato