Non sono Allodole quelle che volteggiano sui cieli di viale Mazzini. Paiono piuttosto avvoltoi che, senza farsi illusioni di conquistare per intero la preda, vorrebbero tuttavia sottolineare una loro presenza non secondaria e un posizionamento di forte garanzia per il futuro. Ho letto così l’uscita rumorosa, anche se non nuova, di Carlo Freccero e Michele Santoro con la candidatura ai vertici aziendali, accompagnate da varie carte bollate di titoli e di meriti professionali da inviare a Monti, Napolitano e a quant’altri. Colpisce il carattere insolito della procedura ma, ancora di più, la sostanza del problema. A cominciare dalla ragione per cui dovrebbero essere Santoro e Freccero i più titolati a cambiare in meglio il servizio pubblico. Viale Mazzini soffre da sempre di un eccesso di politicizzazione o ancor peggio di partitizzazione e sue degenerazioni correntizie. Sarebbe davvero irresponsabile pensare che singoli, per quanto si autoproclamino i possibili migliori interpreti dello spirito del servizio pubblico possano rappresentare – invece che con riferimento ad esempio al modello BBC – una soluzione della grave crisi della Rai. L’Italia ha già sperimentato, con la così detta seconda repubblica e con la crisi presente – come non sia sufficiente far finta di cambiare gli attori per migliorare sostanzialmente le cose. La crisi fondamentale della Rai è principalmente crisi di idee, di progetti, di innovazione e di autentico spirito di servizio nei confronti degli utenti. Al contrario si ha netta la sensazione che la dirigenza della Rai venga, non solo nominata in ragione di interessi esterni alla azienda e alla sua funzione, ma che lo stesso palinsesto e financo i telegiornali siano in funzione di favoritismi di vario segno e schieramento se non addirittura personali. Tutto questo rappresenta la negazione dello spirito autentico di un servizio pubblico Radio-televisivo e della funzione autonoma e originale che dovrebbe svolgere ai fini della stessa crescita culturale e civile della intera comunità. Senza scadere in esempi impropri e perciò troppo schematici e semplicistici, quando tuttavia si dovette affrontare la crisi Parmalat con i relativi gravi risvolti sociali, produttivi e occupazionali, non si pensò a chiamare sul palcoscenico due “incantatori di serpenti” e far loro tirare fuori dal cilindro miracolistiche soluzioni. Si ricorse invece ad un tecnico di provata esperienza, competenza e onestà. Si giunse così al risanamento e alla ripresa produttiva con risultati che molti no ritenevano possibili. Naturalmente la Rai non è la Parmalat. Produrre vari tipi di latte e vari succhi di frutta è molto diverso che fare telegiornali, promuovere cultura, realizzare svago e intrattenimento. Per il Governo e l’insieme delle forze politiche però il problema nella sostanza è analogo e, senza una fase straordinaria e anche rapida che fissi i criteri di un nuovo modo di concepire il governo della azienda, di nominare i diversi ruoli di responsabilità professionale e quindi la nuova qualità della programmazione, ogni battaglia per il cambiamento della Rai, effettivo ed utile al paese, sarà vano. (Nuccio Fava)