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Sicilia e Calabria si allontanano, “non rilevante per la fattibilità del Ponte”

I primi risultati della campagna oceanografica “Sirene”, condotta sulla nave oceanografica del Consiglio nazionale delle ricerche “Gaia Blu”, hanno avuto ripercussioni sul dibattito relativo alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. In particolare, la discussione si è animata su un passaggio della nota che è stata diffusa sullo stesso sito del Cnr. Viene riportato infatti che “utilizzando tecnologie geofisiche all’avanguardia disponibili sulla nave è stato identificato un campo di rilievi sottomarini allineati lungo profonde spaccature del fondale dello Ionio meridionale, dove un sistema di faglie sta progressivamente allontanando la Calabria dalla Sicilia, facendo sprofondare lentamente la crosta terrestre al largo dello stretto“.

Sull’argomento è intervenuto la Stretto di Messina Spa con una nota di precisazione: “L’individuazione delle formazioni geologiche citate non è rilevante ai fini della fattibilità del ponte sullo Stretto di Messina. È noto, infatti, che le coste siciliana e calabrese sono soggette ad un seppur minimo allontanamento ampiamente considerato nel progetto definitivo del 2011 e nel suo aggiornamento del 2024″.

“Tra i vari aspetti di aggiornamento – prosegue la Stretto di Messina – grazie agli studi effettuati dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università La Sapienza di Roma e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con dati provenienti dai Gnss (Global Navigation Satellite Systems) prodotti dalla rete RING-INGV, si confermano le previsioni del progetto definitivo evidenziando che il movimento differenziale tra i due siti scelti per i piloni (Calabria-Sicilia) è inferiore a 1 mm/anno”.

La campagna “Sirene”

La campagna oceanografica del Cnr ha consentito l’individuazione di vulcani di fango nelle profondità dello Ionio. “Si tratta – viene spiegato nella nota – di diapiri, sedimenti che risalgono da zone profonde visibili solo con ecografie del sottosuolo, e vulcani di fango che si formano quando materiale profondo risale verso la superficie insieme a fluidi e gas, generando a volte delle vere e proprie eruzioni fluide e viscose: obiettivo dei ricercatori sarà, ora, approfondire la natura e la provenienza del materiale che risale lungo queste grandi faglie litosferiche, e capire come queste influiscano sulla generazione di terremoti in una delle zone sismicamente più attive in Europa”.

“Le immagini sonar registrate a bordo di “Gaia Blu” hanno evidenziato con grande dettaglio le morfologie di questi rilievi, che mostrano indicazioni di attività eruttiva e tettonica recente. Alcuni vulcani hanno forma perfettamente conica, altri hanno forme sub-circolari ma molto corrugate e allungate nella direzione delle faglie, e sono spesso associati a frane sottomarine”, ha spiegato la coordinatrice della campagna Alina Polonia, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar).

A cosa servirà lo studio

“I dati geofisici acquisiti – aggiunte la ricercatrice – ci permetteranno di ricostruire la morfologia degli apparati e le proprietà fisiche dei materiali coinvolti, per capire se siano alimentati da fango, materiale vulcanico – non siamo infatti lontani dal monte Etna -, o da risalita diapirica di rocce che si trovano abitualmente nel mantello terrestre a oltre 20 km di profondità. Se così fosse, si tratterebbe degli ultimi lembi di crosta terrestre provenienti dell’oceano più antico della Terra, la Tetide, ancora non coinvolti dal processo di subduzione e orogenesi che ha formato gli Appennini e le Alpi”.