Domenico Siracusano, lei fa parte del Coordinamento provinciale del Partito democratico di Messina dopo il suo rientro da Articolo Uno. In vista della chiusura del tesseramento il 31 dicembre, qual è la situazione del Pd?
“Ricordo che, in piena estate, ci siamo insediati per gestire, su mandato del segretario regionale e dell’Assemblea provinciale, questa fase transitoria, dopo le dimissioni del segretario provinciale Nino Bartolotta. Da quel momento abbiamo provato a stimolare, con l’iniziativa politica, una comunità stanca e segnata da un susseguirsi di fatti che l’hanno provata nel profondo. I primi segnali si cominciano a vedere. C’è un buon fermento in molti Comuni della provincia, dove si lavora per rimettere in piedi circoli e presenza militante. Credo che confermeremo un buon radicamento sui Nebrodi e qualche novità arriverà dalla zona tirrenica, dopo la riattivazione del circolo di Villafranca. Più complicata la situazione nel capoluogo e sulla jonica, dove c’è, è inutile nascondere, la presenza ingombrante di De Luca e dei suoi. Ottimi segnali arrivano dall’organizzazione giovanile che in questi giorni sta avviando la fase congressuale. I giovani democratici possono finalmente diventare quello strumento di pungolo per il partito e di insediamento nel mondo giovanile che è fondamentale per dispiegare una rinnovata azione politica”.
A che punto siete come tesserati?
“Sul numero dei tesserati, aspettiamo la chiusura del tesseramento al 31 dicembre, che gestisce direttamente il segretario regionale Anthony Barbagallo. Ma ho la sensazione che possiamo portare dentro tante e tanti che alle primarie hanno chiesto con forza, sostenendo Elly Schlein, una trasformazione profonda del Pd”.
Quella che pesa è l’assenza di una voce autorevole e di radicamento nei territori cittadini e provinciali…
“L’autorevolezza del Pd è stata minata in questi anni da fatti nazionali e specificità locali. Il partito si è allontanato da sé stesso, nonostante la tenuta di tanti dirigenti territoriali, perdendo elettori e militanti. Anche io, insieme a Maria Flavia Timbro, Peppe Grioli, Gioacchino Silvestro, Pippo Molonia, Peppuccio Franco e Ciccio Italiano, che ci ha lasciati di recente, insieme a tante compagne e tanti compagni, abbiamo lasciato il Pd renziano, ritenendo che al Paese servisse una forza di sinistra capace di coniugare il riformismo della pratica con la radicalità dei temi del mondo contemporaneo. Ma a Messina non c’è stato solo il renzismo. Il combinato disposto delle parabole politiche di Francantonio Genovese e Pietro Navarra ha lasciato un segno profondo. Tante e tanti si sono allontanati, ritirati dalla militanza, scelto di sperdersi nel civismo o in altre forme di impegno”.
Oggi ci sono le condizioni per cambiare il Pd a livello locale e nazionale?
“Elly Schlein ha rappresentato, sul piano nazionale, una frattura netta, inattesa dal gruppo dirigente, ma imposta da elettori e simpatizzanti che hanno preteso che il Partito democratico tornasse a fare quello per cui è nato. Bisogna difendere il lavoro, l’ambiente e la salute, reinterpretando oggi i valori democratici e di sinistra, come, per esempio, stanno facendo il Partito socialista spagnolo o il Partito dei Lavoratori di Lula in Brasile”.
E a livello locale?
“Ecco, a livello territoriale serve interpretare il senso di quella frattura e tornare ad essere autorevoli perché credibili. Stare accanto alle comunità, con costanza e continuità, e aggredire con radicalità le questioni aperte, a partire dallo sviluppo del capoluogo e delle diverse aree della provincia. Con trasparenza e senza equilibrismi, decidere da che parte stare, recuperando la prossimità e la dimensione popolare”.
Come si prepara Messina al congresso nel 2024, che eleggerà il nuovo segretario?
“Se devo essere sincero, c’è molto disincanto: gli anni passati non invogliano alla fiducia. Tante e tanti non ci credono. Non credono che il Pd possa cambiare, possa diventare una forza centrale, un riferimento per gli elettori progressisti e un’opzione per le cittadine e i cittadini. Il cammino di avvicinamento al congresso è stato, però, caratterizzato da un ritrovato protagonismo. Penso alle iniziative di Estate militante, alle Feste dell’Unità – quella provinciale mancava da oltre dieci anni – e alla partecipazione alla mobilitazione contro la costruzione del ponte sullo Stretto per uno sviluppo sostenibile del Sud. Si tratta di segnali che messi a sistema, sotto la guida di un rinnovato gruppo dirigente, possono trasformarsi in proposta politica. Servirà un confronto franco e leale, insieme con la capacità di analizzare gli errori del passato e una strategia di rilancio, valorizzando il ruolo dei circoli e degli amministratori locali. Il congresso non dovrà essere uno stanco rituale ma un processo partecipato che, dai circoli fino al livello provinciale, dia il senso di una comunità politica che si rimette in cammino”.
Come valuta le attuali difficoltà del Pd in ambito nazionale?
“La vittoria di Elly Schlein è stata una richiesta di cambiamento profondo ma anche, come ebbe a commentare Massimo D’Alema, è stata anche una “sconfitta del Pd”. Schlein ha vinto contro gran parte del gruppo dirigente e la stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari. Così, la sua sfida è quella di travasare nel partito l’entusiasmo che si è manifestato alle primarie. Ma, allo stesso tempo, c’è l’obiettivo di riposizionarlo su alcuni temi. Da questo punto di vista, la battaglia sul salario minimo ha rimesso al centro il lavoro e, se pensiamo che il Pd è stato il partito del Jobs Act e della buona scuola, con Renzi, è evidente il cambio di passo. È un partito che con fatica si sta riconnettendo con i mondi di riferimento. Quando l’11 novembre, sul palco della manifestazione nazionale di Piazza del Popolo a Roma, sono saliti insieme i rappresentanti di Arci e Acli mi è sembrato un esempio plastico di questo percorso. Certo, non sarà facile sia per le resistenze interne di chi non capisce che bisogna uscire definitivamente dall’ubriacatura neoliberista, sia per una destra pericolosa per il suo progetto di sdoganamento della cultura post-fascista. Una destra inadeguata per le sue scarse capacità di governo. Una destra forte e insidiosa che deve ringraziare la mancanza di lungimiranza di tutte le forze di centro-sinistra. Forze che si sono presentate divise alle ultime elezioni politiche. Per questo fa bene la segretaria a dispiegare un intenso sforzo unitario”.
Un giudizio sull’amministrazione Basile?
“In una città che si sta spopolando, soprattutto per l’emigrazione forzata di decine di migliaia di ragazze e ragazzi, la priorità di un’amministrazione comunale dovrebbe essere la definizione di un modello di sviluppo capace di invertire la rotta e creare le condizioni perché si scelga di rimanere a Messina. È questo il punto dolente anche dell’esperienza di Cateno De Luca, perché non basta amministrare l’esistente ma occorre avere una visione di futuro e lavorare per realizzarla. Basile e De Luca, anche approfittando di una serie di disponibilità economiche dovute ai fondi post Covid, hanno messo in campo una serie di iniziative che però non trasmettono una visione di insieme né una prospettiva di futuro. A Messina non servono solo autobus, parcheggi e luci di Natale. Serve un grande piano di politiche sociali per le periferie, una sinergia forte con gli altri enti per stimolare un’economia legata alla cultura. Si pensi al Museo, alla Falce e al Waterfront. A una città universitaria degna di questo nome, con una serie di produzioni innovative e sostenibili per promuovere uno sviluppo alternativo al ponte. Serve un buon governo e non una mediocre amministrazione che sta approfittando della debolezza della politica”.
Come giudica la proposta, da parte di Cateno De Luca, di un’alleanza di Sud chiama Nord in Sicilia con il centrosinistra?
“Aggiungo intanto che serve una pacificazione in città perché, nonostante i modi più urbani di Basile, resta una gestione muscolare del potere nei rapporti con le organizzazioni sindacali, con le opposizioni e complessivamente con chi osa dissentire. È lo stile De Luca che rimane come impostazione di fondo. Per questo approccio, per le sue posizioni politiche, per ciò che ha detto e ha fatto e disfatto in questi anni, ritengo che sia irricevibile una proposta che vada oltre il coordinamento della opposizioni all’Ars. De Luca è incompatibile con i valori e le pratiche della sinistra e del centro-sinistra. Chi pensa a un’alleanza con lui, e il suo movimento, forse non lo conosce o fa finta di non conoscerlo. Il Pd non ha bisogno di alleanze spurie per magari vincere e non poter governare. Ha bisogno di recuperare un’identità chiara e da quella costruire una proposta politica per le siciliane e i siciliani e anche per il nostro territorio. Chi pensa a scorciatoie è fuori strada”.