Ieri è stato presentato il saggio “La mafia non ha vinto”, scritto da Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale e candidato alle europee per il Partito Democratico. L’iniziativa si è svolta presso i locali dell’Aula Magna della Corte d’Appello di Messina. All’incontro, però, ha presenziato anche un capannello di “dissidenti” contro le ricostruzioni portate avanti nel libro, costituito da Gianluca Manca, fratello di Attilio Manca, e da altri membri dell’Associazione Nazionale “Amici di Attilio Manca”, dall’associazione Agende Rosse e da quella Peppino Impastato, oltre che da esponenti del Movimento 5 Stelle.
“Abbiamo sentito il bisogno di intervenire – spiega la deputata all’Ars Valentina Zafarana – e di ricordare che esiste ancora a Messina una società civile che si indigna di fronte all’ impianto fragile e volutamente fuorviante dato all’analisi della trattativa stato mafia da parte del professore Fiandaca. Nelle intenzioni del giurista palermitano, l’ esercizio dottrinario in merito alla questione pare abbia come fine ultimo una pretesa e strenua difesa della “democrazia” minacciata da una paradossale mancanza d’indipendenza dell’esecutivo. Resta da capire, se così stanno davvero le cose, come mai i magistrati impegnati nelle indagini relative alla presunta , secondo Fiandaca, trattativa Stato-Mafia confermata da sentenze definitive della Cassazione sulle stragi del 92-93, siano stati minacciati di morte da Riina”.
A proposito di Stato e dei rappresentanti delle sue istituzioni, la Zafarana è critica anche contro la presenza del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Giovanni Ardizzone : “Risulta strana la presenza del presidente dell’Ars, carica istituzionale di rappresentanza di tutti i siciliani in un consesso che voleva apparire meramente scientifico-dottrinario, ma che in realtà reca evidenti connotati politici soprattutto ad una settimana dalle elezioni. Fra un ‘conato’ negazionista e l’altro, Fiandaca ammette che se trattativa c’è stata, la stessa risulta insindacabile penalmente (e comunque non rientrante nella fattispecie prevista dall’art. 338 cod. penale), condotta in uno stato di necessità in un momento di assenza e debolezza dello Stato : in buona sostanza il populismo giudiziario non deve ergersi a giudice e censore delle qualità morali di un’intera classe dirigente perché non sarebbe competente a farlo. Resta da chiedersi se sia lecito – conclude la Zafarana – in ossequio al principio assoluto della legittimazione democratica, astenersi da qualsiasi tipo di giudizio etico-morale sulla condotta di chi ci ha governato, resta da chiedersi secondo quale principio etico ad oggi non risulti pienamente chiarita all’interno della trattativa stato – mafia, la posizione del nostro capo dello Stato”.
Gianluca Manca, infine, commenta l’evento sottolineando l’importanza del fatto che “in una circostanza ambigua si sia riusciti a proporre il pensiero condiviso da tanti giovani in merito alla necessità di tutelare il processo sulla trattativa stato-mafia ed il pool di Palermo”.