L’Università degli Studi di Messina dovrà sborsare 5 milioni di euro nei confronti dell’Impresa Grassetto spa, società attualmente in liquidazione. L’inizio del contenzioso risale addirittura al 1997, ma il pronunciamento del giudice in primo grado è arrivato 13 anni dopo con la sentenza 331/2010, contro la quale l’Avvocatura dello Stato ha presentato appello per conto dell’Università, chiedendo anche la sospensiva. Tuttavia, la vicenda giudiziaria è improvvisamente ed inaspettatamente tornata d’attualità perché lo scorso due marzo è stata recapitata al Rettorato, che ha sede in Piazza Pugliatti, la diffida di pagamento, inoltrata dal legale dell’impresa, dell’importo riconosciuto due anni fa dal giudice, che ammonta esattamente a «Euro 3.476.636,90 , oltre rivalutazione monetaria a decorrere dalla data del 19.9.2003 e interessi legali con la medesima decorrenza su detta somma via via mensilmente rivalutata fino al soddisfo».
Una bella patata bollente, dunque, per il rettore Francesco Tomasello ed il direttore Amministrativo Pino Cardile, che vedono quasi annullati gli sforzi di questi anni per far quadrare i conti dell’Ateneo peloritano, costretto a dimenarsi anche tra i numerosi tagli ministeriali. «Saremo obbligati – ammette sconsolato Cardile – a ricorre ad un mutuo perché non siamo più in grado di attingere dal bilancio interno, da cui già in passato abbiamo prelevato per contenziosi ereditati dalle precedenti amministrazioni».
Ma come è nata questa vicenda giudiziaria, che inciderà notevolmente sulla situazione finanziaria dell’istituzione accademica dello Stretto? La cronologia e le modalità di svolgimento degli eventi sono dettagliatamente spiegate nella sentenza 331/2010.
In estrema sintesi, va detto che, con contratto d’appalto del 23 gennaio 1990, l’Università degli Studi di Messina aveva affidato al raggruppamento temporaneo di imprese costituito da Grassetto Costruzioni spa quale mandataria, Gemmo impianti spa e ing. Giovanni D’Andrea costruzioni srl l’;esecuzione dei lavori di completamento del Policlinico Universitario, che prevedevano la realizzazione di ben nove progetti, tra cui ad esempio il completamento del Dipartimento di Medicina dell’età evolutiva; la costruzione dell’edificio uffici ammnistrativi e di quello destinato alla mense degli studenti o ancora il completamento di due piani dell’edificio H e la costruzione dell’edificio destinato al Corso di Laurea in Odontoiatria; la ristrutturazione e l’ammodernamento di edifici obsoleti.La gestione dell’appalto fu condotta separatamente per i nove gruppi di opere, con la conseguente redazione di nove registri di contabilità, e affidata a tre distinti direttori dei lavori. Il contratto era regolato da nove distinti capitolati speciali e dal capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici.
Come evidenziato nel dispositivo della sentenza, la vicenda «ha origine da controversie sorte tra le parti in ordine alla gestione dell’appalto da parte del committente nonché all’esatto riconoscimento dei corrispettivi dovuti per le prestazioni dell’appaltatore, per le quali l’impresa iscriveva nei diversi registri contabili numerose “riserve”, nelle quali esponeva le proprie ragioni».
Riserve che sono state verificate e nella maggior parte dei casi accolte dal Ctu (consulente tecnico d’ufficio) incaricato da giudice, il quale non ha potuto fare altro che condannare l’Università e l’attuale amministrazione, che si ritrova a pagare, nel vero senso della parola, colpe di altri.
«Da quando mi sono insediato (e sono già 8 anni ndr) – ha detto Tomasello –abbiamo dovuto spendere decine di milioni di euro in numerosissimi contenziosi instaurati quando ancora io non ero Rettore». (Danila La Torre)