Il Metaverso è già realtà. E crea le prime distorsioni. Non sono passati neanche quattro mesi dall’annuncio di Mark Zuckerberg di creare l’Internet 2.0 che già l’umanità è in pieno fermento: c’è chi compra appezzamenti di terreno nella realtà virtuale, c’è chi investe in criptovalute accettate nella nuova dimensione. E c’è chi si sposa. Ebbene sì: complice la pandemia e la necessità di evitare contatti troppo ravvicinati con altre persone, la scelta di trasmigrare nel Metaverso è la più semplice. O questo, quantomeno, è ciò che taluni pensano.
Dinesh Sivakumar Padmavathi e Ramaswamy Janaganandhini, due ragazzi indiani di 24 e 23 anni, hanno deciso di organizzare la propria cerimonia nuziale nel Metaverso. Come? È presto detto: creando un avatar digitale delle proprie persone. Requisito richiesto anche a tutti gli invitati al matrimonio, cinquemila persone in teoria, di cui duemila già certe. Sarà, insomma, come essere all’interno di un videogioco.
“So che avremmo potuto sposarci via Zoom, ma volevamo andare oltre questa nuova usanza – ha raccontato Padmavathi al The Times – e diventare tra i primi a fare una cerimonia nel Metaverso, oltre a farlo conoscere agli indiani”. Una cerimonia innovativa, un nuovo modo di socializzare.
Senonché a presenziare sarà anche il padre della ragazza, deceduto lo scorso anno. A lui verrà creato un avatar dalle fattezze fedeli all’originale. “Sarà proprio lui ad accogliere tutte le persone che festeggeranno con noi – ha spiegato Padmavathi – Sarà un momento molto emozionante per Ramaswamy”. Una “resurrezione” digitale insomma. Con risvolti inquietanti. Una distorsione della vita reale per alcuni; una blasfemia per altri. C’è pure chi lo saluta con entusiasmo, un modo per consolare la giovane sposa e darle la sensazione di essere ancora vicina al genitore.
Epperò non si può nascondere il carattere di impostura che questa situazione, tutto sommato, ha. Un’impostura allarmante della quale non possiamo ancora nemmeno immaginare i risvolti psicologici e sociali a lungo termine, ma che fin da subito lascia un sapore amaro. Fra orgoglio umano e superbia demoniaca, la capacità tecnologia di (fittiziamente) riportare in vita i morti è conturbante. E dovrebbe far riflettere sull’utilizzo etico (si può dire?) delle nuove tecnologie.