Nel "frullato" mediatico che ha riguardato in questi giorni la storia delle statue inscatolate, il rischio più forte è di non cogliere più cosa è grave, cosa è strumentalmente politico, cosa è tragicamente stupido. Ma questo rischio non può inchiodarci al silenzio, perché la vicenda chiama in causa non solo le singole persone, ma l'intera cultura di una laicità che, in Occidente, ha costruito il senso più profondo dell'incontro con l'alterità, con le differenze, custodendone i valori fino al rischio di morire come è avvenuto per chi ha difeso le statue distrutte dalla cieca follia dell'Isis.
Ricordo che anni fa, all'interno dell'iniziativa "Mediterranea" fu ospitata una mostra di artisti irakeni e, in quell'occasione, furono presenti ministri e illustri figure di quel paese, i quali di fronte alla cena conviviale, rimasero inspiegabilmente immobili. Era il mese del "ramadam". L'imbarazzo fu enorme. Ma nessuno si strappò le vesti. Riuscimmo a trasformare il loro digiuno in un confronto serrato sui diversi linguaggi creativi presenti nell'area del Mediterraneo. L'indomani ci chiesero di assaggiare i nostri salumi e il nostro vino.E' pur vero che la ragion di stato ha portato spesso all'oblio verso l'"umano" e che la crisi, oggi, rischia di farci inginocchiare nei confronti di chi ci offre una speranza di sopravvivenza, ma mi chiedo se i nostri giovani arrivati a Teheran potranno ricevere la stessa ospitalità nell'incontro con i corpi velati o con i manichini femminili senza testa presenti nelle vetrine dell'alta moda locale, o, peggio ancora, se proprio quelle tradizioni possono giustificare la copertura delle statue dei Musei Capitolini.Spero ancora che gli organizzatori di questo pasticcio abbiano avuto un calo di neuroni al punto da non immaginare che il Presidente dell'Iran poteva seguire un altro percorso, perché altrimenti sono portata a pensare che la paura del corpo è dentro di chi ne ha coperto le nudità ed è una paura profonda ed antica e, senza fare appello alla psicoanalisi, è una paura religiosa, mista a quella intolleranza che ha spinto il patrimonio artistico del nostro Rinascimento a piegarsi nei confronti dell'oscurantismo del secolo successivo. Una lezione per il nostro Governo, ma anche per una sinistra che non riesce sempre a denudare il proprio corpo laico e "diversamente" ospitale. L'ospitalità non è solo accoglienza. L'ospitalità è rischio, scommessa anche di perdere, ma è il luogo del vero incontro, quel luogo, come dice Levinas, dove "nessuno è ospite e nessuno è ospitato". Questo rischio le statue dei musei Capitolini, chiedevano e chiedono di correrlo, perché la loro storica bellezza è linfa vitale per la stessa politica e per chi si accosta a farne parte, anche da altri lidi.
Lucia Tarro Celi
presidente Associazione culturale "Arti Visuali città di Messina"