Pubblicato nel 1965, Stoner, terzo romanzo di John Williams, non ebbe grande successo. Dell’opera, infatti, vennero vendute solo duemila copie. Ripubblicato nel primo decennio di questo secolo, Stoner ottenne un risultato ben diverso, superando presto le cinquantamila copie.
Nella postfazione dell’opera, Peter Cameron si interroga sul libro. “Che cosa ne ha determinato il grande richiamo e l’enorme successo? È un libro piccolo, dalle modeste ambizioni, ma affronta ed esplora gli interrogativi più imprescindibili e sconcertanti che ci è dato di conoscere: perché viviamo? Che cosa conferisce valore e significato alla vita? Che cosa vuol dire amare? Per la terza volta, leggendo le pagine finali di questo magnifico libro, ho pianto. Sul letto di morte William Stoner guarda fuori il giardino illuminato dal sole e vede un gruppo di studenti che attraversa il prato”.
Che William Stoner sia un uomo di cui sarà facile dimenticarsi il lettore lo apprende fin dall’incipit. Incipit che, con un voluto tono quasi da necrologio, fissa da subito l’attenzione sulla banalità e sulla piattezza della vita che verrà raccontata.
Protagonista di una carriera accademica tutt’altro che brillante, rinchiuso in un matrimonio infelice, incapace di riaggiustare il rapporto – incrinatosi non per sua colpa – con la figlia, William Stoner non reagisce mai col colpo di coda che molti lettori, probabilmente, si attendono da un momento all’altro.
Inaspettatamente, il protagonista, all’età di quarantatré anni, conosce il vero amore; ma nemmeno questa scoperta lo porterà a modificare radicalmente la sua vita.
Se una storia apparentemente triste e, appunto, banale, emana enorme fascino, è grazie alla capacità di John Williams di scavare in profondità all’interno dei pensieri e delle emozioni del protagonista. Stoner, infatti, potrebbe anche essere accusato di poco coraggio, ma di certo non di superficialità.
E anche sul poco coraggio, in realtà, ci sarebbe da obiettare. Il suo scarso successo professionale deriva da una scelta, fatta a inizio carriera, che si rivela poco proficua, ma è di certo coerente con i valori dell’uomo. Anche come padre, Stoner mostra impegno e affetto, nonostante, come scritto sopra, il risultato finale non sia positivo.
Come tutti i grandi personaggi della letteratura, Stoner ha la dote di dividere i lettori. Seguendo la sua storia, qualcuno probabilmente desidererà entrare nell’opera per scuoterlo fisicamente. Qualcun altro lo stimerà tanto da commuoversi per lui. Altri ancora, proveranno allo stesso tempo entrambe le cose.
A questo possono collegarsi le parole della scrittrice Sylvia Brownrigg, che si è così espressa sul motivo per cui il romanzo è più apprezzato in Europa che in America. “La reticenza non mi sembra una dote molto americana. Anche se Stoner è ambientato in America, il personaggio stesso si sente più inglese o europeo – opaco, fondamentalmente per bene e passivo… Se il romanzo non ha preso piede negli Usa, che sia perché Stoner non sembra Uno dei Nostri? Siamo un paese di massimalisti chiassosi, e pur essendoci come al solito delle eccezioni, neanche i nostri minimalisti sono frugali e tristi in quel modo così particolare…”
John Williams concesse poche interviste a proposito di Stoner, e in una di queste si mostrò stupito del fatto che molti lettori avessero trovato triste il personaggio di Stoner. “Credo che sia un vero eroe. Molti di coloro che hanno letto il libro pensano che Stoner abbia avuto una vita brutta e triste. Io invece credo che sia stata bellissima. Una vita senz’altro migliore di quella di molti. Faceva ciò che desiderava fare, ci teneva, era in qualche modo convinto dell’importanza del lavoro che svolgeva… Per me, la cosa importante del romanzo è il significato che Stoner attribuiva al suo lavoro… il lavoro nel senso buono e onorevole del termine. Il lavoro gli dava un’identità particolare e lo rendeva ciò che era”.