Prima direttore generale, poi amministratore, quindi commissario liquidatore, infine dimissionario. Per Armando Di Maria, la parabola personale coincide con quella di Messinambiente, partecipata del comune di Messina a capo della quale (da solo o in condominio con Nino Dalmazio, oggi esperto del commissario straordinario del comune Luigi Croce) è stato per cinque anni. Una parabola che gli ha causato grattacapi e qualche guaio giudiziario, e che oggi culmina con le dimissioni consegnate a Croce. Che fanno il paio con quelle rassegnate, un anno fa, all’allora sindaco Giuseppe Buzzanca (e restate nel cassetto).
Ci ha provato, Armando Di Maria. Ci ha provato a salvare Messinambiente. Ci ha provato e non c’è riuscito. Per l’enorme mole di debiti che la Spa si porta dietro, per le rateizzazioni mai rispettate, per gli stipendi che arrivano e non arrivano, per la discarica che apre e non apre, per le emergenze rifiuti che ormai in città si susseguono una volta ogni due settimane. Non c’è riuscito per due “mine vaganti”, sottoforma di cartelle esattoriali firmate da Margherita Sanfilippo, dirigente dellʼAgenzia delle entrate di Messina. La prima, che rischia di far saltare il banco, è di quindici milioni di euro. La seconda, ammonta invece a due milioni e 300mila euro. Si tratta di debiti vecchi, ma oltre alla sorte capitale, già di suo pesante, ad incidere sono le sanzioni. Sommando multe e more si risale fino al 2007, anno in cui Inps ed Agenzia delle entrate hanno iniziato a presentarsi agli uffici di via Salandra con le calcolatrici alla mano, presentando un conto da mani ai capelli: 676mila euro nel 2007, 734mila nel 2008, due milioni tondi tondi nel 2009 e 4 milioni e 687mila euro nel 2010.
Tutti debiti oggetto di rateizzazioni, tutte rateizzazioni alle quali non è mai stato possibile far fronte. Perché dall’Ato3, i milioni necessari ogni mese al funzionamento di Messinambiente, arrivavano sempre in ritardo. Alla partecipata di via Dogali, ogni mese, lʼAto3 trasferisce, quando se lo ricorda, un milione e 800mila euro, più o meno. Esattamente quanto spende Messinambiente mensilmente per il pagamento degli stipendi. E basta. Quindi ammortamenti, rateizzazioni e forniture restano fuori. “Servirebbero due milioni e mezzo più iva”, ha spiegato per mesi Di Maria, inascoltato. E siccome il mancato pagamento di tre rate consecutive fa decadere il privilegio della rateizzazione, l’istituto nazionale di previdenza ha preteso l’immediato pagamento di tutta la somma, con la beffa ulteriore di non rilasciare il Durc, quel documento unico di regolarità contributiva senza il quale ogni pagamento verso Messinambiente passa attraverso le forche caudine della legge. E Messinambiente il Durc non l’ha mai avuto in regola sin dal marzo 2012. Unʼispezione della Guardia di Finanza, la scorsa primavera, ha scovato infatti unʼevasione totale da sedici milioni di euro, maturata negli anni precedenti. Di nuovo, Lʼazienda è in debito di un milione e mezzo di euro con lʼInps, ma non può rateizzarli, a causa della precedente rateizzazione alla quale non ha mai ottemperato. E il serpente torna a mordersi la coda.
In tutto questo, Di Maria si è beccato anche un processo penale: Dtutto nasce da un documento di fine 2010, all’interno del quale l’allora amministratore della società Nino Dalmazio, nel passare le consegne al successore Armando Di Maria dopo le dimissionii, lanciava un suggerimento: pagare tasse e contributi, poi eventualmente tutto il resto. Di Maria si passa una mano sul cuore, e invece di mettere a posto la parte contributiva e fiscale, sceglie di pagare gli stipendi ai lavoratori, scesi già sul piede di guerra per non aver ricevuto stipendio per un mese e mezzo. Di Maria ne otterrà un processo per evasione contributiva (reato penale se non si versano contributi per più di cinquantamila euro) e nemmeno un grazie.
I motivi del disastro li spiega molto chiaramente la relazione al bilancio 2010 firmata da Di Maria che, allʼepoca, ne era ancora amministratore. “La grave inadempienza relativa al mancato pagamento dei servizi resi ha causato lʼomissione o il tardivo versamento dei tributi, e conseguentemente ha determinato onerosi stanziamenti di sanzioni e interessi, che hanno inficiato i risultati economici dei bilanci dei relativi esercizi per un totale di 7 milioni e 952mila euro”.