Insulti, ingiurie volgari, minacce. Ai tempi dei social network basta un post che in pochi minuti viene condiviso da decine di utenti ed una persona finisce nelle maglie di quella violenza sempre più spietata che si nasconde dietro un monitor e una tastiera. Una persona che all’improvviso si trova costretta a modificare abitudini di vita, che si sente in pericolo e che però ritiene inaccettabile che episodi del genere debbano continuare a verificarsi. Per questo Annalisa Previti, medico veterinario in servizio presso l’Ospedale Veterinario di Messina, ha deciso di raccontare quanto le è accaduto nei giorni scorsi. Un episodio che è già finito anche in una denuncia presentata ai Carabinieri.
Lo scorso 11 aprile un cane randagio veniva portato in pronto soccorso veterinario da un’associazione locale, visitato come “primo soccorso” dalla dottoressa Previti che ha effettuato il triage e una visita clinica, reputando che non ci fossero gli estremi per un codice rosso. Il cane presentava evidenti problemi di salute, ma non urgenti, tra cui un’infestazione massiva da zecche e probabilmente una conseguente malattia da vettore, ma non versava in pericolo di vita e non necessitava di ricovero, peraltro non autorizzato dalla Facoltà di Veterinaria se non i casi di codice rosso. Per cui la dottoressa Previti invitava i membri dell’associazione a far assistere il cane presso strutture convenzionate con il Comune di Messina, consigliando anche dove eventualmente portarlo. Ma le insistenze si sono fatte pesanti, il giorno seguente lo stesso cane è stato fatto visitare da un secondo medico veterinario che è giunto alle stesse conclusioni della collega Previti e alla fine i volontari si sono dovuti arrendere.
Lì però è iniziato l’incubo social: su un profilo Facebook compariva un post in cui si segnalava che il cane non era stato ricoverato perché infestato da zecche, senza aggiungere tutti i dettagli della visita effettuata. In brevissimo tempo il post è stato condiviso da oltre un centinaio di persone ed è esplosa la polemica contro la veterinaria, “colpevole” di aver svolto il suo lavoro. Tra insulti ed epiteti diffamatori è stata pubblicata anche una fotografia della malcapitata e qualcuno è arrivato anche a promettere ritorsioni fisiche. Solo in pochi hanno continuato ad interessarsi realmente al cane, addirittura nessuno ha mostrato interesse nella ricerca della persona che lo aveva abbandonato. Un tunnel di odio virtuale e violenza social che hanno costretto la dottoressa a rivolgersi ai Carabinieri della Stazione di Villafranca Tirrena, nella speranza che quanto accaduto possa servire affinché nessun collega finisca più nel mirino di “animalisti” che, in casi come questo, mostrano solo il lato peggiore di un fanatismo celato dall’amore per gli animali. Nella denuncia la veterinaria racconta di sentirsi pesantemente minacciata e di aver dovuto modificare radicalmente le sue abitudini di vita, conseguenze tangibili di una degenerazione che purtroppo smette di essere virtuale e diventa reale.
E non si parla di “codici rossi”, per i quali il primo soccorso è chiaramente innegabile per un semplice senso di dovere oltre che deontologico, ma di animali abbandonati che più che di cure avrebbero bisogno di una casa. Contesti in cui non si può pensare di trasformare gli ospedali, le cliniche e gli ambulatori veterinari in canili.
Tutto questo è vergognoso, dice la dottoressa Previti, e ha bisogno di un intervento, in primis, della giustizia, dei comuni e degli ordini di appartenenza, nonché di una corretta campagna di informazione che spieghi una volta per tutte, quale sia il corretto modus operandi di Medici Veterinari e Istituzioni. Molti colleghi si sono schierati al suo fianco e le hanno espresso grande vicinanza e solidarietà con un #jesuisAnnalisa che è diventato la voce di chi magari ha vissuto episodi simili e dice basta.
Francesca Stornante