Anno Anno 9733 dell’Olocene, 5241 dall’Origine del Mondo, 268 avanti Cristo.
Non da molto alcuni mercenarî osci avevano preso il potere a Messina, facendone la capitale del loro stato-pirata: essi erano i Mamertini, cioè Figli di Marte. Le loro razzie davano chiaramente molto fastidio alla potente Siracusa, retta in quegli anni da una repubblica democratica che controllava almeno tutta la porzione sudorientale della Sicilia, l’ultimo potere legittimo e nazionale nell’isola.
Allora l’uomo di spicco era lo stratego Ierone figlio di Ierocle, dell’antica e nobile casata dei Dinomenidi, alla quale erano appartenuti i monarchi geloi Gelone I e Ierone I. Quest’uomo mandato dal fato era al culmine della popolarità, essendosi sposato con la figlia di Leptine – il cittadino più facoltoso di Siracusa – e detenendo la massima carica militare della Repubblica. Ora, costui intraprendeva una nuova campagna.
Precedentemente Ierone aveva concessa una finta vittoria ai Mamertini sulle rive del Salso, in realtà liberandosi astutamente dei mercenarî al soldo di Siracusa divenuti ingestibili, ma stavolta era diverso: il comandante andava per vincere. In poco tempo tutta la costa tirrenica da Milazzo a Tusa era sotto il controllo del Dinomenide; rimaneva ai Mamertini, di fatto, solo il territorio aldilà del Longano, con Messina stretta fra i presidî di Tindari e Taormina. Era il momento di chiudere la partita con questi osci.
Con il suo possente esercito Ierone si accampò sulla riva occidentale del Longano (o Loitano), ove l’ampia valle che traccia nelle montagne si apre prima dello sbocco nel Tirreno; 10000 fanti e circa 1500 cavalieri – e 1500 erano soldati di Milazzo e altri di Regalbuto. I Mamertini – di poco inferiori in fanteria e di molto in cavalleria ma tutti combattenti professionisti –, che gli marciavano contro guidati dal loro meddix (console) Cione, posero le tende dall’altro lato. Questa fiumara, detta oggi Patrì, scorre in un ampio letto all’interno d’una vallata al confine tra i Peloritani e i Nebrodi.
C’era una certa inferiorità nell’esercito mamertino, nonostante l’orgoglio per la passata vittoria, perciò Cione trovò conforto nel consultare i suoi indovini, che gli predissero che avrebbe dormito nell’accampamento nemico; per lui significava chiaramente che avrebbe vinto e che si sarebbe impossessato delle tende di Ierone.
Perciò furono i Mamertini a muoversi per primi; forse era estate e la portata d’acqua del Longano era ridotta, per cui poteva facilmente essere attraversato. Fu tentato un assalto di cavalleria, intercettato dagli equestri siracusani sulle rive del fiume, utile per i fanti di Ierone a guadagnare una posizione rialzata e vantaggiosa, allora guadò tutta la fanteria osca e là ingaggiò la linea nemica. Questo avvenne probabilmente alle pendici orientali delle alture del Marro, allora noto come Torace.
Non sapevano i Mamertini che prima dello scontro il Dinomenide aveva ordinato a un suo contingente d’aggirare il Marro per piombare alle loro spalle; questi uomini che marciarono in fretta attorno alle alture erano 200 esuli messinesi, uomini di provato coraggio e di rinomato valore, che volentieri si erano messi al servizio di Siracusa per ottenere vendetta in battaglia contro quegli stranieri che li avevano privati d’ogni cosa e avevano uccisi i loro congiunti. Si può immaginare con quanta furia piombarono questi soldati sui nemici e con quanto terrore essi li ricevettero, quando ebbero completato l’aggiramento del Torace.
La pugna, che fino a quel momento era rimasta incerta, presto si volse nella disfatta dei Mamertini: cominciarono a fuggire, ma i Siciliani continuarono a incalzarli falciandoli finché anche Cione, circondato tutte le parti e costretto a lottare per la sua vita, cadde svenuto per le troppe ferite e fu catturato. La battaglia del Longano era finita, Ierone aveva vinto.
Medicato, Cione si svegliò all’interno dell’accampamento nemico: avverata si era la premonizione. Proprio allora, già provato dalle ferite della battaglia e affranto per la sconfitta, il Meddix riconobbe il cavallo di suo figlio che veniva condotto nell’accampamento e dedusse che il suo ragazzo era stato ucciso, perciò si sciolse le bende e si lasciò morire per dissanguamento.
Quando rientrò a Siracusa, Ierone sfilò in trionfo e fu proclamato Re dalla totalità della cittadinanza e dei soggetti: Ierone, secondo del suo nome, Re della Sicilia in Siracusa, mentre il primo fu colui che quando regnò sconfisse gli Etruschi a Cuma. Caddero i vessilli della confusione dei demagoghi e ritornarono quelli fastosi dei Dinomenidi; un’ultima volta, prima della fine.
NOTE. La descrizione della battaglia è trascritta fedelmente dalla Biblioteca Storica di Diodoro d’Agira, altre informazioni sono ricavate dalle Storie di Polibio di Megalopoli. Il Longano di cui qui si parla non è il Fiume di Castroreale che divide Barcellona da Pozzo di Gotto – oggi chiamato con quel nome – ma il Patrì, la grande fiumara che nasce nel territorio di Fondachelli-Fantina, scorre attraverso Rodì-Milici e sfocia entro Terme-Vigliatore; un’ipotesi convalidata sia dalla conformazione dell’area attorno al fiume basso (fra Rodì e Terme) – adatta allo scontro sulle rive e alla manovra d’aggiramento – sia dalla presenza dell’antichissima Longane (che si collega al fiume) sul pianoro che sovrasta Milici, come dimostrò l’archeologo Domenico Ryolo. La data del fatto purtroppo non è ancora sicura, quella riportata potrebbe rivelarsi un giorno errata.
Daniele Ferrara