TAORMINA – “Due porte e dieci metri più avanti”, quelli percorsi dai bambini in braccio ai medici italiani che hanno donato loro un futuro migliore.
“Due porte e dieci metri più avanti” è il docu-film di una missione in India. Quella che ha visto in prima linea una equipe di volontari, medici e infermieri del Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo Bambino Gesù di Taormina e dal Dipartimento medico chirurgico delle cardiopatie congenite dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
Sasha Agati, direttore del Centro cardiologico taorminese, aveva raccolto l’invito rivolto dalla Fondazione indiana “Little Moppet Heart”, che opera nella città di Madurai, nel sud dell’India, dove si occupa del trattamento chirurgico dei bambini affetti da cardiopatie congenite che abbiano lo stato accertato di indigenza.
A seguito del team medico, lo scorso gennaio, anche il video maker messinese Matteo Arrigo. Da questo incredibile viaggio è nato un docu-film che racconta in modo reale il lavoro dei medici, dalla loro partenza da Taormina al loro ritorno.
Il video sarà presentato venerdì 30 agosto alle 22 a S.Stefano di Briga e in occasione della “Giornata del Malato”, il 2 settembre alle 19 nella Parrocchia S. Maria Immacolata di Giardini Naxos. Durante le due serate si parlerà anche delle future missioni, prima fra tutte quella che vedrà il team italiano tornare in Tanzania fra meno di un mese, con l’unico obiettivo di dare la speranza di vita ai piccoli bambini affetti da cardiopatia congenita.
“È stata un’esperienza ricca di emozioni – spiega il dottore Agati – accompagnata da un grande senso di responsabilità nell’aiutare dei bambini affetti da cardiopatie congenite che non avrebbero superato l’anno di vita. La missione in India – aggiunge – rappresenta sicuramente un punto di arrivo per il team del centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo.
Confrontarsi ed affrontare delle cardiopatie complesse lontano da casa e in condizioni di precarietà rappresenta sicuramente una conferma ed una crescita nelle attività di supporto del team di riferimento italiano.”
La squadra italiana ha operato in simbiosi con il personale medico indiano, in una terra in cui la povertà è diffusa e molte volte le malattie cardiache dei bambini non vengono nemmeno diagnosticate.
“Riuscire a raccontare una storia così complessa fatta di incontri, emozioni, sensazioni, scambi culturali e tradizioni completamente diverse – sottolinea Agati – “rappresenta un elemento che Matteo Arrigo nel suo docu-film è riuscito ad immortalare perfettamente. È riuscito a cogliere con grande sensibilità e grande rispetto delle famiglie e dei piccoli bambini, una storia incredibile di solidarietà e amore. Rivedere a rivedersi in questo docu-film suscita una grande emozione, ma anche un sentimento di fermezza nel continuare questa esperienza che tanto dona e tanto offre a bimbi e famiglie, che altrimenti non avrebbero una speranza di vita. La divulgazione di questo documentario è un obbligo che sentiamo forte al fine di far conoscere ciò che esiste a chilometri lontano da noi e per cui non esiste nessun motivo apparente per cui questa differenza non possa essere colmata. Grazie Matteo, la tua telecamera è semplicemente il tuo cuore”.
Nel video viene raccontata anche la storia di un bambino cardiopatico proveniente da un villaggio sulle rive dell’oceano indiano: “Ho seguito il piccolo Goutham nel tragitto dal suo villaggio fino all’ospedale di Madurai – ci racconta Matteo – documentando la povertà in cui vive questa gente, l’apprensione della mamma prima dell’intervento e l’appoggio morale di tutta la gente del villaggio. Sono stato con loro due giorni, dormendo sulla sabbia e mangiando insieme a loro.
Quando sono tornato in città insieme al bambino, ho raccontato ai ragazzi italiani l’esperienza vissuta. Insieme hanno espresso il desiderio che fossi io, il giorno dell’intervento, a portare Goutham sul lettino della sala operatoria. È stata un’emozione fortissima il momento in cui la mamma ha ‘consegnato’ a me il suo bambino. Dal reparto al blocco operatorio – spiega Matteo – c’era un piccolo corridoio da percorrere, con due porte da attraversare. Avevo fatto migliaia di chilometri per arrivare in India, ma ho capito che i più importanti erano solo quei pochi metri, quelli in cui i medici stavano dando a quei piccoli la speranza di vivere ancora il loro cammino della vita, due porte e dieci metri più avanti”.