Un’apertura di ottimo livello per la stagione 2018/2019 del Teatro dei 3 Mestieri, con questa piece già andata in scena – sempre con meritato successo – nella passata rassegna Show-off della messinese Sala Laudamo. Una interprete ragguardevole davvero, intensa e appassionata nel suo urlare al mondo che la sua esistenza – in panne – riecheggia quella di ogni essere umano, con troppi vuoti dentro per potersi consentire di supplire alle carenze altrui. Dora Kieslowski, con le sue ascendenze polacche per parte paterna, quel padre non l’ha quasi mai sentito tale, percependo la sua affettuosa presenza in un fermo immagine che retrodata a quando, bambina sull’altalena, obbediva agli incerti inviti…. del genitore che la esortava a andare “in avanti”, mentre una farfalla -incredibilmente verde come la speranza – volteggiava loro intorno. E poi la dissolvenza dei ricordi piacevoli, un buco di dolore mai colmato, l’uscita di scena del genitore con conseguente abbandono suo e dell’amata madre, morta – precocemente pare – facendo restare scoperchiata la voragine di sofferenza di Dora. Dora non sa nulla di sé, eppure ogni sera recita innanzi ad un pubblico l’essenza del nulla che la stritola …. Ed è stata scelta, prima solo quale portatrice di una storia davvero dolente – e il dolore si fa presa – poi anche come interprete – e chi meglio di lei potrebbe farlo? Chi potrebbe ripetere il succedere di sé in ogni dettaglio esistenziale e raccontare di quel marito da lei costretto alla castità, di un amante una tantum …. per punire il consorte, in realtà innocente, sospettato per insicurezza di tradimento, di una gravidanza infelice, di un figlio che dopo il tentativo del marito di lanciarlo nel vuoto, forse sta col padre naturale altrove o si trova in un’altra dimensione…. non importa, ma cresce il buco, in uno all’impossibilità di qualunque guru dell’anima- o maestro zen che dir si voglia- di porvi rimedio, uno dei tanti che a suon di denari – o meglio di passaggi di carte di credito – parrebbero conoscere la ricetta per sanare il malessere, placare la bestia che rode, e sostengono un po’ che la guarigione deve provenire da dentro, un po’ da fuori….o viceversa, non è importante……e l’impietosa Dora continua a inoculare il proprio vetriolo a iosa, analizzando come un entomologo se stessa e tutti coloro che alla sua esistenza si sono avvicinati o con essa scontrati, come il datore di lavoro del marito, ragioniere e aspirante poeta patafisico – e giù una giusta presa in giro per neologismi e correnti che vorrebbero porsi come innovative- che le aveva dedicato improbabili versi, celebrando il suo perfetto sedere….polacco, unica parte del corpo di cui va fiera.. Il soggetto e la drammaturgia sono di Domenico Loddo, la splendida interprete è Silvana Luppino, la regia è di Christian Maria Parisi, le luci-importanti nella successione scenica e per illuminare a tratti il volto della protagonista, che è una maschera- di Guillermo Laurin , le scene di Valentina Sofi, scarne e essenziali ma determinanti per comprendere la storia, con quel baule che racchiude il suo universo di ricordi piacevoli… e due sagome metalliche difformi che riflettono su fondale bianco una figura spaventosa, tutta in nero, quella del fantasma del padre….un’altalena, al centro del palcoscenico, che è fondamentale.. Dora Kieslowski è imprigionata nel gorgo emotivo della sua esistenza, ma potrebbe rappresentare tutti noi, è immobile mentre la sua vita scorre innanzi a noi, non solo quella trascorsa, ma i giorni a venire, che paiono già condannati per quei conti in sospeso con il futuro. In Dora, personaggio tragicomico, ci siamo specchiati alla ricerca delle nostre identità e in quelle canzoni del passato che ossessivamente tornano quali macchine del tempo, riportandoci alle nostre vite di adulti mancati, ai nostri fallimenti reali o vissuti come tali, alle trappole che spesso ci costruiamo…Esisterà per Dora una via d’uscita?