Norberto Presta è stato ospite del Teatro dei 3 Mestieri. Norberto Presta, in quella serata davvero speciale, ci ha rubato l’anima. Norberto Presta si è insinuato fra i pensieri nostri più inconfessabili e ci ha messi a nudo, denudandosi per noi. Norberto Presta ha osato proferire verità estreme, che per pudore non ci confessiamo l’un l’altro, né per lo più amiamo ammettere anche nel silenzio delle nostre coscienze.
Tutto questo svelarsi (e svelare noi a noi stessi) ha provocato sovente risolini di disagio, sempre attoniti i volti dell’uditorio, con una buona dose di autentico stupore per come quell’istrionico personaggio sia riuscito a indovinarci appieno. I malesseri di chi è entità frammentata, che attimo dopo attimo scolora scentrandosi, disperdendo l’essenza unificata in disgregate cellule (che parrebbero seguire diversificati percorsi) e non si può più ricomporre né riconoscere, sono stati “centrati” per così dire nella mise en scene. A piedi nudi, in vestaglia, stralunato solo in apparenza, l’interprete monologante, con una bottiglia di prosecco in mano, poco a poco svuotata (consumata) per davvero. Il ritorno nella nostra città dopo un anno dell’artista sudamericano è stato davvero magico: l’attore, regista, e drammaturgo, di origine italo-argentina, è stato davvero grande soprattutto nella simbologia dell’immigrazione, che è il peccato delle nostre generazioni, ma anche una condanna di antica datazione, una questione che da politica e sociale, si è fatta umana, anzi disumana. Storie piccole, per il resto, compongono i Frammenti, ironia e humour sempre a stemperare le tragedie di cui è intrisa ogni esistenza. Alzarsi ogni giorno e via via non riconoscersi più, e straniero sembra quello sguardo che lo specchio ci rimanda, e i piccoli pezzettini non si possono ricucire, così parrebbe, e si scappa da se stessi, allora, in pigiama, con un volto divenuto estraneo incollato addosso, e quelle voci che fuoriescono per dire di ricordi che non ci appartengono, o forse si, che a ruota libera emergono e ci traghettano lontano, con quello che è arrivato stremato in gommone, il siciliano che in America scopre Ragusa, quel vecchio che sogna di essere l’albero e l’albero che sogna di essere il vecchio. Sgretolati momenti e sempre presenze scorate alle quali ci lega lo sguardo compassionevole del deus ex machina e narratore, e questo è il collante meraviglioso, la condivisione delle umane paure nel riconoscimento di una condizione umana identica, bellissima e miserevole in uno. L’artista/pagliaccio ha volato altissimo, tragico, geniale buffone, nel gioco al massacro di se stesso dinanzi all’uditorio, offrendo il proprio sé per uscire da sé, e da fuori perdonarsi. Paura pervasiva, spaventoso buco nero, timore di uscire dai margini, di esondare i limiti….In fondo ogni vita è storia priva del lieto fine e in ogni caso bisogna mettere insieme un giorno dopo l’altro, inanellando diuturne perdite e accettando necessarie trasformazioni con resilienza. Ogni piccola vita ha qualcosa da esprimere a tutte le altre, a chiunque voglia condividerla, questa la “lectio magistralis”.
La collaborazione – insolita – fra il Teatro dei 3 Mestieri e i Magazzini del Sale, definibile da plauso, ha generato questa mini tournée dell’artista: oltre ai Frammenti e a Famiglia – Sul fascismo e altre calamità in scena ai Magazzini, anche un seminario per attori e danzatori, “La voce che danza”. Tornando ai Frammenti, non è lecito definirli come rappresentazione, evento teatrale, se non in senso lato: sono infatti vita reale e quotidianità, vita che imita il teatro, forse, con il corpo e l’immagine in pole position, e la parola che dà voce all’inconscio, e noi, spettatori e protagonisti di esistenze ove mai riusciamo a coinciderci in tutto.
Tosi Siragusa