Cipressi sullo sfondo, un cimitero di campagna, due tombe a terra. Due anziani sposi vagheggiano epoche lontane, ricordi da ricomporre con apparente difficoltà attraverso un fitto dialogo: digressioni, dimenticanze, piccole omissioni prima dell’arrivo di due pompieri, improvvisati salvatori in episodi al limite del grottesco. La tomba muta in giaciglio e le dinamiche divengono subito intime: rapporti interrotti, clandestini, figli della noia quotidiana o di desideri a lungo repressi, la chiarezza avanza con la conta delle occasioni perdute tra distrazione e indifferenza. Due amori a confronto, due coppie legate dalla medesima dispersione dello straordinario nel grigiore quotidiano. Ogni fuoco è stato spento. La pace prima del bacio della buonanotte.
Beckett, Kaurismaki, i romantici inglesi: varie le influenze alla base di “Amore”, ottavo lavoro della Compagnia Scimone Sframeli presentato in anteprima nazionale al Teatro Vittorio Emanuele. Tutto scorre con grazia nelle soavi cantilene degli attori in scena, dalle meschinità quotidiane degli sposi alle fumettistiche avventure dei pompieri, fino al disvelamento delle verità sepolte da un velo di insignificante oblio. Humour nero nel “country churchyard” di Scimone e Sframeli, con una miriade di piccoli frammenti fuori scena, immagini fulminanti appena accennate in grado di rendere con semplici tocchi la complessità della vita, dall’universale al particolare, dal particolare all’universale. Un passo in avanti nella produzione del drammaturgo messinese rispetto al precedente “Giù”, nel quale i riferimenti alle tematiche sociali (in quel caso quella legata ai preti pedofili) apparivano spesso forzati o eccessivamente didascalici: in “Amore” l’omosessualità dei due pompieri, in passato ostacolata da un moto interiore di moralismo borghese, trova il suo naturale compimento fuori tempo massimo come significativa parabola di intere esistenze piegate da un’inutile menzogna.
Perfettamente in grado di reggere il confronto con i due animatori della compagnia, gli attori Gianluca Cesale e Giulia Weber (prima donna sul palco negli otto lavori fin qui realizzati da Scimone e Sframeli) non si limitano ad essere personaggi di contorno, ma vere spie di un nuovo percorso da intraprendere: eleganti, entrambi, a portare sull’oscura scena sapientemente realizzata da Lino Fiorito un fuoco pronto a far luce sul passato delle due coppie; pochi cenni per far scoppiare un incendio liberatorio. Tutti i fuochi il fuoco.
Domenico Colosi