La ballata delle balàte è il primo spettacolo in assoluto della lunga e intensa stagione di prosa che l’Ente Teatro di Messina ha preparato quest’anno. Sarà in scena nella Sala Laudamo da venerdì 22 ottobre a domenica 24 per il cartellone -Paradosso sull’autore-, la sezione curata da Dario Tomasello e dedicata alla drammaturgia italiana contemporanea. Si tratta di uno spettacolo di rara intensità, scritto, diretto e interpretato da Vincenzo Pirrotta, uno dei nomi più importanti del nuovo teatro. L’attore sarà accompagnato da Giovanni Parrinello che eseguirà le musiche dal vivo.
Nei covi dei più famosi latitanti mafiosi si ritrovano Bibbie, altarini e immagini di santi, ma come possono questi uomini riuscire a far convivere ordini di morte e prediche d’amore? Il racconto di un latitante mafioso (Pirrotta), che nel suo covo recita un rosario, trasfigura la religione alla maniera mafiosa. In un delirio nel quale s’incontrano misticismo e violenza, nasce il contrasto tra la parola di Dio che il latitante professa e la feroce parola della mafia, che invece mette in pratica.
Vincenzo Pirrotta, puparo e cantastorie palermitano, erede della tradizione dei cuntisti, lavora alla perpetuazione di questa arcaica tradizione siciliana sviluppandola alla luce di sperimentazioni teatrali e artistiche contemporanee. Dal 1990 al 1996 ha lavorato ai classici del teatro Greco di Siracusa. Ha interpretato Federico II nelle manifestazioni federiciane in Sicilia e nel 1995 ha ricevuto il premio -Giusto Monaco-. Ha diretto La lupa di Giovanni Verga per le Verghiane 2002. È stato protagonista nel Tancredi e Clorinda al teatro dell’opera di Roma, e del Ratto dal serraglio di Mozart per la regia di Roberto De Simone. Ha curato la regia delle Nozze di Figaro per il teatro nazionale dell’opera di Malta e diretto e tradotto le Eumenidi di Eschilo per la Biennale di Venezia 2004. Nel 2005 ha ricevuto il premio della critica come miglior regista emergente assegnatogli dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro.
Nelle note di regia, Pirrotta scrive: -Cosa spinge un uomo a vivere da solo, in condizioni umilissime, nonostante la grande ricchezza che può avere accumulato in anni di malavita? Davvero il fascino della mafia è tale da far scegliere a giovani di farne parte? Nei covi dei latitanti, da Aglieri a Provenzano sono sempre stati trovati bibbie e altarini, immagini di santi, e pizzini dove si citavano passi dei vangeli, e allora mi sono chiesto come i mafiosi riescono a far convivere ordini di morte e prediche d’amore? Come si può leggere il precetto di Gesù ama il tuo nemico e subito dopo essere mandanti di un omicidio? La ballata delle balàte è il racconto di un uomo, di un latitante, che nel suo covo recita un rosario dove i misteri dolorosi sono quelli della passione di Cristo, e i misteri gioiosi (misteri di stato) sono quelli delle 5000 vittime di cosa nostra.
In un delirio dove si incontrano misticismo e violenza vorrei creare il contrasto tra la parola di Dio che il latitante professa e la brutale parola della mafia che invece mette in pratica. Tutto senza ricorrere a immagini stereotipate, ma tentando di scrivere una pieces, una ballata, dove la poesia, la ricerca della musicalità, vorrebbero essere il filo rosso di questo canto di colpa e di non espiazione”.