Vittima dello stesso regime che aveva contribuito a creare. Il rivoluzionario russo Nikolaj Ivanovic Bucharin muore giustiziato il 13 marzo del 1938 dopo un processo infamante per attività cospirative. Una confessione di colpevolezza strappata durante lunghi interrogatori, poi il via libera di Stalin: un ostacolo in meno per il sistema, la verità è solo un fantasma privo di cittadinanza.
Dall’amore di Bucharin per i lepidotteri il titolo Il beniamino delle farfalle al denso monologo dell’attore e regista argentino Norberto Presta: si coniugano in rima le violenze delle dittature, da un capo all’altro del mondo giunge sempre l’ora della mezzanotte. Impossibile narrare la semplice storia d’amore tra l’intellettuale Bucharin e la giovanissima moglie Ana, i viaggi a Parigi, i sorrisi del figlio Yuri: “Non nella tecnologia, ma nei rapporti umani deve manifestarsi il progresso”, dice Bucharin mentre si avvia al crepuscolo dell’esistenza, quando di fronte può scorgere solo il volto feroce del totalitarismo. Morire, dunque, come estremo sacrificio per salvare una primigenia idea di giustizia, tragico paradosso dai riflessi cristologici che riecheggia il capolavoro di Arthur Koestler Buio a mezzogiorno. Norberto Presta è galantuomo argentino che visita il suo personaggio con tutte le accortezze del caso: un paio di barzellette per rompere il ghiaccio, poi un giro di valzer, una sigaretta in compagnia, un paio di foto offerte al pubblico per mostrare i volti dei protagonisti. In scena un orologio da taschino diventa un pendolo, simbolo di un tempo personale che si fa istante della storia. Nelle farfalle ritagliate con infantile perizia la struggente ultima lettera di un condannato a morte: recapitata solo mezzo secolo dopo, quando in Russia il nome di Bucharin è sinonimo di agnello sacrificale.
Seconda fase del progetto che Norberto Presta ha realizzato con il Clan Off e il Teatro dei Naviganti, lo spettacolo proposto ai Magazzini del Sale si sottrae dai tradizionali percorsi del monologo biografico per dirigersi verso la genesi stessa del racconto, tra suggestioni sebaldiane e una ciarliera propensione alla divagazione tipica di certi racconti di Bolaño. L’energia e il carisma dell’attore argentino occupano la scena in una continua sovrapposizione di piani narrativi, un intreccio dove anche le contraddizioni trovano immediata redenzione. “Sappiate, compagni, che sulla bandiera con cui avanzate nella marcia vittoriosa verso il comunismo c’è anche una goccia del mio sangue”.
Domenico Colosi