Nata sotto il segno della bandiera rossa, Concetta La Ferla è amica del popolo, comunista di strada, antifemminista se la lotta per l’emancipazione viene traslata dal piano politico a quello domestico. Consigliere comunale di Caltagirone, fondatrice della prima sezione italiana del PCI a componente femminile, la “leonessa” siciliana è protagonista di proteste eclatanti e virulente polemiche con i dirigenti locali del suo partito. Dagli anni della guerra alla rivoluzione sessuale del ’68, Concetta La Ferla guida il suo sempre più nutrito manipolo di donne verso una liberazione democratica: a Caltagirone, periferia dell’impero, mentre a Catania già avviene la mutazione dalle battaglie popolari alle invettive da salotto. La rivoluzione è solo rimandata.
Dall’omonimo romanzo della scrittrice calatina Maria Attanasio, Di Concetta e le sue donne è monologo e confessione delle aspirazioni di egualitarismo tradite da quella paranoica caccia alle streghe che ha condizionato gran parte della storia interna del PCI fino alle ultime, pallide, diramazioni centriste. La sinistra delle infinite scissioni, giù fino all’attuale irrilevanza politica. Dal fertile repertorio della nostalgia, il primo spettacolo del festival teatrale Il Cortile innesta la sua riflessione nel contesto favorevole di un pubblico tutto volto ad un passato edenico: il progressismo del paradiso perduto, paradosso socialista interamente italiano. Con un improvvisato comizio finale, che l’attrice ragusana Rita Salonia orchestra in una totale immedesimazione con il personaggio.
Strettamente imparentato con le Parrocchie di Regalpetra di Sciascia o Il lavoro culturale di Bianciardi, Di Concetta e le sue donne celebra le piccole vittorie nelle periferie in contrapposizione ai viscidi opportunismi locali (come nel caso del bancario denominato “Manichino di salotto”, dirigente comunista che si pone come antesignano dei tanto vituperati radical chic), storie minime che – soprattutto a teatro – servono a rinsaldare il legame generazionale con lo stesso pubblico che affollava in massa le Feste dell’Unità (e oggi si riversa sui social, tra un meme e una condivisione). Un crescendo che si esaurisce con l’auspicio – quasi una preghiera – di un messia socialista che giunga dall’Africa per redimere gli italiani dal fasciopopulismo. Non scontati, ma automatici, gli applausi.
Nella sapiente costruzione drammaturgica di Nicoleugenia Prezzavento tensioni e sorrisi si sciolgono nella riflessione di un personaggio verace, limpido e schietto nella sua continua oscillazione tra italiano e dialetto, provocazione e pudore. Il messaggio è chiaro e diretto, nonostante le continue sbavature di una Salonia sicuramente in serata di poca grazia. Un lavoro perfettamente calibrato nei toni quello firmato dalla compagnia Nave Argo, con l’accompagnamento musicale della polistrumentista Simona De Gregorio che fa riecheggiare nel cortile del Palazzo Calapaj-D’Alcontres l’immaginario di un mondo oramai relegato in libri di storia evidentemente poco frequentati. Quasi quanto l’analisi del contemporaneo, schiacciati dalle illusioni del passato e da una Sicilia vissuta come una condanna.
Domenico Colosi