Leonardo Sciascia scrisse “L’onorevole” nel 1965 in un’Italia reduce dai fasti del boom economico ed attraversata dai primi fermenti sessantottini: ritratto di un paese che lentamente dimenticava la tirannia del fascismo e gli orrori della guerra per inserirsi a pieno titolo nell’Occidente democratico ed industrializzato, il dramma in tre atti dello scrittore di Racalmuto analizzava con impetuoso rigore e vibrante sentimento le nuove mire di un potere in rapida trasformazione anche in una società statica e tradizionalista come quella meridionale.
La storia del professor Frangipane, da modesto insegnante di provincia a ministro dei Beni Culturali, è innanzitutto l’eterna parabola umana delle illusioni perdute e della corruzione del potere: non vi è riscatto nell’ascesa, ma una torbida commistione di interessi pubblici e privati, perdizione e delirio di onnipotenza. Tema quanto mai attuale in una società afflitta da una crisi che non trova le proprie radici unicamente nelle scellerate ambizioni dei mercati finanziari, “L’onorevole” è, in accordo all’intera opera di Sciascia, documento e profezia: le insegne della Democrazia Cristiana o del Partito Comunista possono essere dunque tradotte con estrema semplicità con gli attuali protagonisti della scena politica, identici ai loro predecessori per dinamiche, sviluppi e problematiche.
In scena al Vittorio Emanuele per l’adattamento e la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, il dramma di Sciascia conserva nella nuova versione (prodotta dal Teatro Biondo di Palermo) l’arguta ironia dell’originale, pur non convincendo per alcune delle soluzioni adottate: talvolta monocorde la recitazione, fuori contesto ed insignificanti gli inserti fotografici in un finale forse risolto con troppa leggerezza. Sicuramente positive le scenografie allestite da Mela Dell’Erba, felici per estetica e funzionalità, e la scelta delle musiche, ipnotiche ballate anni cinquanta efficaci nel dare un tocco lynchiano ad un contesto in via di disgregazione. Nel cast spicca sicuramente per eleganza Laura Marinoni, splendida interprete di Assunta, l’assennata moglie del professor Frangipane (portato in scena dallo stesso Vetrano). Se appare in certi frangenti più caricaturale che letteraria la recitazione di Randisi nei panni dell’oscuro monsignor Barbarino, meritano una menzione e un applauso, tra gli altri, il supplicante Antonio Lo Presti ed il risoluto Angelo Campolo, impegnati a dar vita a personaggi eternamente presenti nel perverso valzer della politica isolana, tra contaminazioni mafiose ed irrinunciabili ambizioni personali. Resta la scrittura di Sciascia, dunque, tersa e seducente per raffinatezza ed equilibrio, in uno spettacolo che delude le attese per una forza immaginativa lasciata scivolare inaspettatamente nei rivoli di una modesta consuetudine.
Domenico Colosi