MESSINA (gi.gi.).- Stefano Massini, 34enne drammaturgo fiorentino, scrive su temi che scottano e che sono motivo di dibattiti e approfondimenti continui. E’ già successo con Processo a Dio, intorno alla shoah, o con Donna non rieducabile, sull’assassinio della giornalista moscovita Anna Politkovskajia di Novaja Gazeta, entrambi i lavori recitati con grande partecipazione da Ottavia Piccolo, succede ancora con La gabbia, un dramma ispirato al tema dell’eutanasia, quale terza pièce della sua trilogia del parlatorio Versione dei fatti, in cui Massini non disdegnando di fare il regista lo mette in scena avendo accanto una mater dolorosa quale mostra d’essere la bravissima Barbara Valmorin. La quale accusata di omicidio aggravato nei confronti d’una parente a lei vicina, che è stata svincolata, staccata da lei da quelle macchine infernali tutte tubicini e mascherine respiratorie, ha di fronte all’avvocato d’ufficio (Luisa Cattaneo) un comportamento lucido e irremovibile, un gelido aplomb, una disperazione interiorizzata, resa evidente da un profferire verbo con cadenze lente e distaccate.. L’azione si svolge nella Sala Laudamo con una parte degli spettatori in sala e un’altra parte seduta sul palcoscenico ai due lati d’una gabbia metallica che sembrano quasi tutti assumere le sembianze dei giurati. Uno spettacolo vibrante, il cui argomento scottante, come ha evidenziato il recente caso Englaro, sta dividendo l’Italia in due, tra chi vorrebbe agire secondo coscienza e chi continua a porre regole e leggi come quella sul bio-testamento, allo stesso modo come alla fine degli anni ’20 il caso Bruneri-Cannelli divise il Paese sulla vera identità dei due personaggi tanto da intrigare Pirandello a scrivere il dramma Come tu mi vuoi e successivamente Sciascia in quel suo pamphlet titolato Il Teatro della memoria. Molti applausi calorosi nei confronti della Valmorin e repliche sino a domenica pomeriggio.- Gigi Giacobbe