«Ai giovani dico: non fate l’attore», parola di Tuccio Musumeci

Chiude all'insegna della comicità il cartellone di prosa del Teatro di Messina. Tuccio Musumeci, Guia Jelo e Miko Magistro interpretano una delle commedie più note di Nino Martoglio, “L'altalena”, in scena al Vittorio Emanuele sino a Domenica 19 maggio. Diretti da Giuseppe Romani, completano il cast Filippo Brazzaventre, Massimo Leggio, Nellina Laganà, Luana Toscano, Emanuele Puglia, Salvo Scuderi, Carmela Buffa Calleo. Scene e costumi di Giuseppe Anfolfo, musiche di Carmen Failla, produzione Teatro della Città.

Musumeci attore. Una scelta o un caso?

Per casualità. Ero a Modena, iscritto a Medicina, e andavo quasi ogni sera a teatro. Lì ho conosciuto il trio Dario Fo – Giustino Durano – Franco Parenti, che erano alle prime armi. Tornando d’estate in Sicilia, ho conosciuto un giovane studente di Giurisprudenza che aveva lo stesso grande desiderio di fare teatro. Si chiamava Pippo Baudo. Lasciata medicina, ho iniziato a lavorare con lui. Abbiamo fatto insieme il primo cabaret politico in Sicilia. Con lui poi ci siamo rincontrati in televisione, nel programma del Sabato sera, Settevoci.

Come trova possibile che nella nostra terra siano vissuti geni letterari incomparabili come Verga, Pirandello o Sciascia ma anche i criminali più spietati come Totò Riina o Bernardo Provenzano?

Siamo troppo intelligenti. Sia nel bene, che nel male. (sorride)

Trova che sia più facile fare ridere o fare piangere?

Fare ridere è più difficile, bisogna rispettare i giusti tempi. Il dramma è tutta un'altra cosa. C’è una via di mezzo a me molto vicina che è il grottesco: se ci pensiamo, d’altronde, si piange nei matrimoni e si ride nei funerali.

Lei ha lavorato con Ficarra e Picone nel film “La Matassa”. Che giudizio dà di questo duo comico?

Sono i più bravi in assoluto. E sa perché? Perché sono i più puliti. Nei loro film non ci sono brutte parole, sanno fare un cinema di vera qualità, e di questi tempi non è cosa comune.

Tra le sue apparizioni televisive, celebre è quella in cui veste i panni di un timido attore a cui il copione ha affidato una sola battuta e che si confronta con un severo regista che è Pippo Pattavina che da lui vorrebbe l’impossibile. Stiamo parlando di “U purtau u pani papà?”. Com’è nato quello sketch?

Ci fu un regista della televisione italiana tremendo, Beppe De Martino, con il quale ho lavorato tanto, che usava fare delle prove singole. Per esempio, un’ora la dedicava a Turi Ferro, un’altra la dedicava ad un altro e così via, e poi faceva l’assemblaggio delle scene. Un giorno, arrivato presto in teatro, trovai Pattavina seduto al posto del regista e lo salutai dicendogli «Buongiorno dottore». E da lì nacque questo sketch. La cosa davvero notevole è che quando incontrai Fellini mi disse di avercelo registrato, e così Gassman e Manfredi. Pensi che, in Francia, un attore ha chiesto i diritti e ha recitato quella scenetta in francese…

Che ricordi ha del suo collega Massimo Mollica, recentemente scomparso?

Ho tanti bei ricordi di lui: Mollica si batté tanto per la sua città, quando ancora il Vittorio Emanuele era chiuso, portando molti attore – me compreso – a recitare al Teatro in Fiera…

Lei è direttore artistico del Teatro Brancati, un teatro catanese che, in controtendenza rispetto agli altri teatri, ha registrato, negli ultimi anni, un aumento del numero degli abbonati. Quali sono le ragioni di questo successo?

Ho scelto delle commedie moderne dove la gente si rispecchia. Autori nuovi come Gianni Clementi che, a livello europeo, è tra i più bravi…

È tempo di elezioni sia per Catania che per Messina. Come la vede?

Sempre male. Non c’è nessun politico capace. In Italia siamo messi molto male. Lo vedo con mio figlio che suona in tutto il mondo e mi racconta di realtà completamente diverse. La politica non sa dare opportunità ai giovani, in particolar modo in ambito culturale, li lascia chiusi in casa davanti alla televisione. Quando lo Stato e la Regione decidono di tagliare i finanziamenti al teatro fanno un danno ai giovani, non permettono loro di conoscere un opera teatrale, un opera della tradizione, li privano della conoscenza del passato.

Cosa consiglierebbe a chi vuole intraprendere una carriera simile alla sua?

Di cambiare idea. In un momento di crisi come questo, lo sconsiglio vivamente.

(CLAUDIO STAITI)

Tuccio Musumeci, (Catania, 20 aprile 1934) è un attore di teatro e cinema. Inizia la sua attività nel campo dello spettacolo esibendosi nel cabaret e nell'avanspettacolo in compagnia di Pippo Baudo nella Catania degli anni Sessanta. La svolta della sua carriera di attore avviene con la costituzione del Teatro Stabile di Catania nel quale inizia a recitare in lavori teatrali, per lo più comici, sia in lingua italiana che in siciliano. Uno dei suoi primi successi fu Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello interpretato da Turi Ferro. La sua mimica da burattino e la sua vis comica innata, gli hanno consentito una lunga carriera costellata di successi. Ma la sua attività teatrale ha registrato la sua bravura in ruoli più impegnati come in Cronaca di un uomo di Giuseppe Fava, Il Consiglio d'Egitto di Leonardo Sciascia, Pipino il Breve di Tony Cucchiara e Classe di Ferro, spettacolo di Aldo Nicolaj che ha debuttato nel 2003 al Teatro Biondo di Palermo per la regia di Renato Giordano. Ha preso parte anche ad una quindicina di film, sempre in ruoli da caratterista, fra i quali si ricorda Mimì metallurgico ferito nell'onore di Lina Wertmüller, Porte aperte di Gianni Amelio, Lo voglio maschio di Ugo Saitta, Virilità di Paolo Cavara e La matassa di Ficarra e Picone. Dal 2008 è direttore artistico del Teatro Brancati di Catania.