Immortale dramma sofocleo sulla lotta fra libertà dell’individuo e pubblico potere.
Anche il Teatro Greco di Tindari ha ospitato l’”Antigone” di Sofocle, con la direzione di Massimo Venturiello, che ne è stato anche eccelso interprete, unitamente ad una giovane e dotata Giulia Sanna nei panni della pura eroina dell’intitolazione; perfettamente in parte anche gli altri attori, da Ismene (Ludovica Bove) all’indovino Tiresia, reso da una grandissima Carla Cassola, a Emone, alla guardia e ai personaggi di contorno. La scelta di puntare il focus maggiormente sulla figura della novella guida regale di Tebe, Creonte, è parsa indovinata anche per connotare con maggiore creatività un dramma bello e intenso e, per tali ragioni, molto rappresentato, che in questa piece è stato tradotto e adattato da Nicola Fano. Le scene di Alessandro Chiti, particolarmente composite nella prospettazione della reggia tebana, con un trono ben in rilievo, anche per questa mise en scene hanno patito il “vulnus” di un palcoscenico ingabbiato in una pedana rettangolare angusta, che ancora una volta, per una scelta che non può che definirsi infelice, ha cancellato la prospettiva verso il mare, rimpicciolendo incomprensibilmente gli spazi accessibili. Spettacolo comunque di grande fascino, anche per quelle espressioni che dal verbale sono refluite al cantato, restituendo alla tragedia un’autentica aura d’antico. Belli e curati anche i costumi di Helga Williams, senza accenni a contaminazioni moderne, che avrebbero messo la sordina ad un quadro di insieme di straordinaria bellezza; suggestive poi le musiche di Germano Mazzocchetti. Una resa, dunque, davvero magica, ove ogni elemento ha occupato il giusto tassello e il plauso del pubblico accorso numeroso non è stato di certo lesinato. L’Associazione “Teatro dei due Mari” si è confermata una volta di più come realtà sempre attenta nel proporre opere teatrali di spessore, con una cura lodevole e un’attenzione mai sopita alla qualità. Nella tragedia sofoclea è delineata la figura dell’eroica ragazza, testarda oltremodo, e Antigone e Creonte esprimono, come si sa, l’impossibilità di conciliare due espressioni opposte del diritto, quello privato e quello pubblico, con la prima che, nella ferrea volontà, riconosciuta dalla stessa come eticamente gusta, di dare sepoltura al ribelle e traditore fratello Polinice (che in lotta con l’altro fratello Eteocle, quello retto, era risultato come lui soccombente) si scontra con il divieto edittale del sovrano suo zio, che ritiene invece che il cadavere debba per punizione rimanere insepolto. Ricordiamo nel dramma sofocleo il suo esser frutto, insieme agli altri fratelli, dell’unione incestuosa fra Edipo e la madre Giocasta e il suo esser stata fedele compagna del padre debole e cieco nella miseria del lungo esilio nell’”Edipo a Colono”. Questa è la declinazione nella composizione teatrale classica: Creonte, in questa mise en scene, abbastanza fedele, diviene protagonista maschile del dramma, con il suo agire moralmente in linea e formalmente esemplare di chi deve sobbarcarsi il pesante compito di guidare gli uomini. Antigone è eroica, dolente e ribelle a prezzo della morte, quale tragico epilogo; non appare martire, Antigone, l’infuriata, che è anche sognatrice, e nonostante il prudente consiglio della sorella maggiore Ismene – la bella che opera in modo ritenuto “giusto” – mette in atto il suo proposito, e Creonte risparmia Ismene, riconoscendola innocente e decide l’esecuzione di Antigone. Antigone è dotata di quelle connotazioni di dottrinale esperienza che ne costituiscono la sua forza etica e muore confortata dalla speranza metafisica di agire nella maniera eticamente più giusta, e questo costituisce senso della sua rivolta. La naturale e perenne conflittualità fra individuo e società e la fragilità umana che impedisce di spezzare le catene, sono temi protagonisti del testo, più che mai attuale, e quelle gesta eroiche, percepite come minaccia agli equilibri del sistema, ben si riconnettono a lotte contemporanee. Il conflitto fra le leggi del sentire personale e le ragioni di Stato costituiscono dilemma universale, e la voce di Antigone si avverte quale esortazione alla libertà e testimonianza di un’aspirazione pura e disinteressata, oltre il potere prevaricatore sui diritti individuali fondamentali. Il regista in conclusione ha reso perfettamente tale dilemma, sottolineando il conflitto interiore dell’eroina sofoclea in questo momento storico connotato da profonda crisi di valori.