Con questo titolo bizzarro, che altro non è che una citazione dal Tingeltangel di Karl Valentin, si inaugura la prima stagione teatrale della compagnia Tetro Infieri. La seconda, se si considera il mini-cartellone pilota con cui Francesco Coglitore, a gennaio di quest’anno, ha lanciato il progetto caldeggiato da tempo del Teatro a domicilio. L’intenzione, togliere il teatro dai luoghi dell’ufficialità e trasferirlo in una dimensione domestica, intima e raccolta; la filosofia, quella di una convivialità più autentica, in cui un gruppo di amici, accomunati dalla passione per l’arte, possono evadere dalla tecnologia fine a se stessa ed andare alla ricerca di un intrattenimento più costruttivo. Il seguito, ingiustamente poco atteso, ottenuto dal progetto fin dal suo timido esordio, ha permesso all’idea di maturare ed allargare il proprio respiro. Così la saletta ARB Service di via Romagnosi, fino ad oggi adibita essenzialmente a sede di corsi di formazione professionale, ha messo a disposizione i propri ambienti, convertendosi in luogo di aggregazione ed intrattenimento culturale.
Arancia rossa marcita Café riporta in vita le atmosfere scanzonate degli anni confusi a cavallo tra le due Guerre, dei bar fumosi alla periferia di Monaco, ritrovi per anime alla ricerca di un senso tra un bicchiere e l’altro. Gli stessi bar nei quali si esibiva il giovane Valentin, agli esordi della sua carriera, ed inventava un genere teatrale che si sarebbe poi vestito del nome di altri talenti: quel teatro dell’assurdo che oggi tutti noi attribuiamo a Beckett o a Brecht.
“Quello di Valentin è però un assurdo popolare”, ci spiega il regista “rispetto all’intellettualismo di quelli che lo seguirono”. E’ un tipo di comicità intelligente, che riesce, con leggerezza, a scardina l’ordine costituito, il modo di agire e di pensare ufficialmente riconosciuto, con tutte le sue insensatezze. Sul palco l’attore mette in piedi una realtà talmente assurda… da essere vera (!), e smaschera così la vanità dei valori in cui la società inspiegabilmente credere. “Vi ostiniate ad indossare orologi che non funzionano”, sembra rivelarci l’autore, “perché altrimenti a cosa servirebbe avere catene da orologio?”. E’ un’ironia sottile e tagliente, capace anche dopo settant’anni di farsi beffe dello spettatore, mentre questi ci cade con tutte le scarpe, convinto di ridere dell’assurdità di ciò che guarda, ma ignaro di ridere del proprio riflesso.
Credibilissimi gli allestimenti scenici (a cura di Stellario Piciché) e funzionale la scelta dei costumi, pensati per i rapidi cambi di identità dei personaggi. Complimenti alla regia per la resa del testo originale, oltre che per la scelta delle musiche di accompagnamento, perfettamente in linea con l’atmosfera che il contenuto richiede. Evidente l’intesa e la coesione tra tutti gli interpreti, malgrado la notevole differenza d’età e la provenienza da mondi artistici diversi: Francesco Coglitore (attore e qui per la prima volta regista), Rosa Ippolito (cantante), Valeria Ruvolo (ballerina) e la giovanissima Noemi David. Il risultato finale è senz’altro lodevole.
Laura Giacobbe